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Dalla Cina agli Usa, così Macron sta scalzando la Merkel dalla leadership europea

Per i prossimi tre giorni il presidente francese Emmanuel Macron sarà in Cina per incontri alto livello che devono servire a sancire definitivamente il suo ruolo di attore globale. Il viaggio – il primo dal 2015 – inizierà al Mausoleo del primo imperatore Qin a Xi’an, storica città nel nord della Cina, con già un peso simbolico: Xi’an è il punto di partenza dell’antica Via della Seta cinese, che il suo omologo, Xi Jinping, ha usato come riferimento (ispirazione, ideale) per l’immenso piano geopolitico della Nuova Via della Seta (One Belt One Road, “Obor”). Il capo dell’Eliseo si muove accompagnato da un gruppo di 60 tra alti funzionari e imprenditori, e oltre ai simboli punta alla sostanza: l’idea della trasferta a Oriente è chiara, creare una “partnership strategica” preferenziale tra Parigi e Pechino.

Subito con un esempio. Del gruppo fa parte Fabrice Berger, direttore operativo di Airbus che – secondo quanto riporta un’indiscrezione pubblicata dal Financial Times – arriva con un obiettivo stabilito: vendere almeno 100 A380 (il colosso dei cieli, il più grande aereo passeggeri in produzione, che però ha problemi commerciali) al gruppo statalizzato China Aicraft Leasing. In cambio Berger proporrà di ampliare la linea di montaggio dei più maneggevoli (anche commercialmente) A320 che si trova a Tianjin: questo genere di accordi ha valore strategico, e servono a piazzare la Airbus sul tetto dei produttori di velivoli. C’è un traguardo fissato, il 2024, entro cui occorre, per i francesi, battere i concorrenti americani; uno su tutti Boeing, che attualmente guida la lista dei produttori e con cui l’attuale presidente Donald Trump ha un rapporto d’odio e amore, ma difenderà nell’ottica delle visioni America First (pensare se il business cinese dovesse aiutare i francesi a superare Boeing, sarebbe uno schiaffo per un presidente statunitense che punta le sue policy sulla prosperità americana anche attraverso il riequilibrio del proprio ruolo con gli alleati e contro l’espansionismo incontrollabile di Pechino).

Tra venti giorni si festeggerà l’anniversario (il 54esimo) dei rapporti diplomatici tra Pechino e Parigi, in un momento roseo più che mai delle relazioni tra la seconda e la quinta economia del mondo. La prima visita cinese del presidente francese fa da primo piano a uno scenario che dice che Parigi è il quarto partner commerciale di Pechino nell’Unione europea e Pechino è il primo tra i partner commerciali asiatici della Francia; ma non solo, perché è negli intenti che Francia e Cina si trovano sempre più spesso accomunate. Sempre con esempi: quando Trump annunciò ufficialmente l’intenzione di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi sul clima, mentre Macron rispondeva d’appeal con un sarcastico “Make our planet great again” (riedizione ambientalista dello storico claim elettorale di Trump sull’America), la diplomazia francese costruì il ponte con cui il presidente cinese firmò la dichiarazione congiunta con l’Ue sugli intenti per rispettare l’accordo. O ancora: Cina e Francia cercano collaborazione sul terrorismo, e hanno in generale visioni molto comuni sul riassetto della governance globale (detto tagliato con l’accetta: vogliono ricavarsi entrambe un posto di primo piano, cercando di occupare gli eventuali spazi lasciati dalla contrazione nazionalistica americana).

L’approccio che caratterizza Macron è certamente il pragmatismo, che l’analista Tian Dongdong di Xinhua sintetizza in un’uscita del francese: quando durante la campagna elettorale gli fu chiesto di commentare la divisione tra sinistra e destra, l’allora candidato di En Marche rispose che “non importa se il gatto è nero o bianco, a patto che catturi i topi”, ossia usò una famosa massima del leader cinese Deng Xiaoping. Questa visione pragmatica e l’approccio bilaterale e diretto alle questioni piace ai cinesi. Ed è proprio con questo pragmatismo che Macron sta portando avanti la sua lettura “France First“, un nazionalismo up-to-date, dove c’è spazio per le politiche globaliste, per i sistemi internazionali come l’Europa, ma a patto che sia Parigi a tenere in mano la leva dei comandi. Mai momento migliore di questo: in questi giorni è in corso quello che forse sarà l’ultimo, disperato tentativo di dare un governo alla Germania, e la Cancelleria Angela Merkel sa che senza la base operativa interna – che manca da tre mesi e mezzo, da quando le elezioni si sono cioè chiuse senza un vincitore e senza un accordo – non può dipingersi completamente come leader europea; richiamo: domenica il ministro degli Esteri tedesco, il leader socialista Sigmar Gabriel, ha detto che non bisognerà fare lo stesso errore del 2013, quando i socialdemocratici “si concentrarono troppo sulla politica interna e poco sull’Europa”, perché è ora che la Germania dia una risposta alle proposte di riforma avanzate da Macron. O ancora: Roma è preda dello stallo pre-elettorale; Londra è vittima della Brexit (al rientro da Pechino Macron incontrerà anche il prima ministro inglese, Theresa May, in un altro approccio bilaterale).

Macron sta diffondendo da mesi le sue visioni nel mondo: è partito con le aree in cui può giocare maggiore influenza storica, il Sahel per esempio, e l’Europa, per poi allagarsi al Medio Oriente e ora all’estremo oriente cinese. Nei prossimi mesi il presidente francese potrebbe addirittura atterrare a Teheran; il 6 gennaio il suo ministro degli Esteri, il fidatissimo Jean-Yves Le Drian, era in Iran per preparare il terreno all’incontro, il primo dal 1976, che si terrà a patto che le manifestazioni anti-governative non degenerino ulteriormente nel sangue. Macron si prospettava come il ponte europeo verso l’ex Persia, convinto sostenitore del Nuke Deal, facilitatore dei primi contratti conseguenti al sollevamento delle sanzioni (quelli chiusi da Total sul petrolio e Renault sulla produzione delle automobili che servono agli iraniani), avrebbe dovuto diventare colui che rompeva gli anni di postura rigida e aggressiva francese nei confronti della Repubblica islamica (da ricordare che all’interno del 5+1 che ha chiuso l’accordo per congelare il programma nucleare militare di Teheran, Parigi ha sempre tenuto le posizioni più scettiche frutto di un anti-iranianismo diffuso agli Esteri, e lo stesso Le Drian ha ribadito ultimamente che è inaccettabile la politica espansionistica clandestina che l’Iran perpetra nel Medio Oriente: Le Drian, che nella precedente legislatura occupava un altro dei “domaine” dell’Eliseo, la Difesa, è considerato il punto di continuità tra l’azione di governo di Macron e la tradizione francese).

Ma già prima delle proteste (imbarazzante sarebbe adesso un foto di Macron con un leader di quel governo iraniano che soffoca i manifestanti) l’Eliseo ha dovuto mediare la propria posizione sulla scia dell’enorme crisi internazionale che si è innestata nel Golfo Persico. La Francia ha alleanze ferree con i regni sunniti, come Emirati Arabi e Arabia Saudita, che sono gli stessi che stanno conducendo una politica severa (al limite del conflitto armato) contro l’Iran. La spinta internazionalista sul deal è stata allora contratta dall’interesse nazionale. Ma la forza di Macron adesso sta nella capacità di riempire i vuoti: quando Riad ospitò forzatamente il premier libanese, Saad Hariri, spingendolo alle dimissioni in polemica con la troppa ingerenza iraniana negli affari di Beirut, fu lui a volare nel Golfo e trovare la mediazione a una crisi potenzialmente esplosiva. Poche settimane dopo Macron è andato in Qatar, dove è in corso un’altra crisi innescata da Riad che sta cercando di punire Doha perché s’è avvicinata troppo a Teheran e per i link col mondo del radicalismo islamico armato; un bilanciamento diplomatico, ma anche un ritorno da 11 miliardi di dollari di affari firmati tra Francia e Qatar (di cui 3 miliardi per una altro appalto della metro di Doha strappati ai tedeschi di Arriva e 1,1 per la vendita di caccia Rafale all’aviazione qatarina, una sorta di continuità con le amministrazioni precedenti). “La Francia non sceglie un campo contro un altro” è uno dei principi chiave, pragmatici, dell’Eliseo: “En même temps”, allo stesso tempo, è il noto tic dialettico macroniano che descrive l’approccio del nuovo presidente.



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