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Perché arrestare (politicamente) D’Alema. L’ultima sul caso Tap e l’opinione di Minopoli

Non è tanto che Massimo D’Alema, un ex presidente del Consiglio, per un provinciale calcolino elettorale (pietire voti dal governatore pugliese) arrivi ora a opporsi pure al Tap, un’opera strategica (diversifica le fonti di approvvigionamento del gas, cuore della nostra autonomia energetica) per il Paese.

Di questa deriva di pochezza politica ne risponde alla sua coscienza. È invece gravissimo ciò che invita a fare: sospendere i lavori del Tap in attesa del giudizio della magistratura su una denuncia (di otto sindaci locali) di difformità dalle prescrizioni dei lavori. È uno stravolgimento delle regole, del buon senso, della giustizia e dell’interesse generale. Dovrebbe essere il contrario: fermare i lavori solo se la magistratura accerti e dimostri il fondamento di un’accusa. Se basta una semplice denuncia di qualcuno per fermare opere pubbliche, infrastrutture, lavori la nostra economia andrebbe a rotoli. Hanno fatto con l’Ilva quello che D’Alema propone per il Tap.

Noi non sappiamo ancora se l’accusa all’Ilva di provocare tumori abbia un fondamento. Nessuno lo ha accertato e non c’è stato ancora il processo agli accusati. Però l’Ilva è stata fermata prima di accertare le accuse. Ed è fallita. I lavoratori sono assistiti (e lo saranno a vita), l’economia nazionale ha subìto un colpo micidiale, i competitori della nostra siderurgia gioiscono, la Puglia (governata da un affossatore di economia seriale) si è impoverita.

Ora D’Alema propone per il Tap la stessa cosa: fermare tutto in base a denunce, di partito ed elettorali, di un piccolo manipolo di politici locali. A ben vedere però una sua coerenza D’Alema ce l’ha. Promosse il No al referendum del dicembre 2016 che conteneva una riforma strategica per il Paese, per la ripresa economica e per l’occupazione: quella che consentiva, in base alla strategicità e valore nazionale, di opere e infrastrutture, di limitare la paralisi dei localismi, della burocrazia ossessiva e della demagogia elettoralistica che frena opere vitali per la nazione.

È la principale tara italiana, quella che strozza la crescita economica e respinge chi vuole investire in Italia. D’Alema, che è più vecchio e antico in politica di quanto non sia all’anagrafe, è diventato il simbolo di una vecchia Italia: ferma, paralizzata, senza dinamismo, che vive di fanfaluche ideologiche (un ulivo da ripiantare è melodrammatico come emergenza ambientale). E intanto tutto diventa “metodo Ilva”: trasformare i lavoratori in assistiti a vita e pensionati anzitempo. Fermiamo loro invece delle opere e del lavoro.



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