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Ecco come e perché il rischio di shutdown negli Usa è sempre più concreto

Le prossime ore a Capitol Hill saranno caratterizzate da un lavoro intenso per scongiurare il rischio di shutdown, vale a dire il blocco nella stragrande maggioranza delle attività amministrative americane causato della mancata approvazione della legge annuale di rifinanzimento da parte del Congresso.

La partita che si sta giocando è tutta politica e sebbene a trasparire sia un senso di calma apparente, una sorta di quiete prima della tempesta, la situazione è più delicata che mai. Sul piano dei numeri si combatte una guerra che non solo vede contrapposti democratici e repubblicani ma che sta anche creando non poche fratture all’interno del GOP, in cui lo “scontro tra bande” diventa un fenomeno sempre più peculiare dell’era Trump.

Le indiscrezioni riportate dai media di settore confermano lo stato di tensione, definendo “più reale che mai” il rischio di blocco istituzionale, un qualcosa da scongiurare a tutti i costi poiché in grado di paralizzare il cuore pulsante del sistema amministrativo americano, con effetti devastanti anche sulle attività economiche e finanziarie del Paese. Ad aggravare la situazione è il calendario dei lavori. I tempi ormai stringono e il provvedimento di rifinanziamento ha le ore contate: si devono trovare ad ogni costo i numeri per far passare il provvedimento entro la fine della settimana.

Che questa crisi sia particolarmente grave lo si intuisce anche dalle voci che circolano tra i corridoi del Congresso, dove gli esperti di budget chiamati a lavorare iniziano ad utilizzare l’espressione “tempesta perfetta” per definire le divisioni interne al sistema politico. Se si pensa che gli stessi abbiano lavorato per anni e in differenti amministrazioni per scongiurare un fenomeno apparentemente ricorrente negli States, si capisce che con la presidenza di Donald Trump le cose non sembrano affatto migliorare.

Per capire la partita in corso basta soffermarsi sui temi che più dividono gli schieramenti ed elencare i punti su cui ancora non si è riusciti a trovare la quadra. Vi sono alcune materie in cui a pesare sono le contrapposizioni tra democratici e repubblicani. In cima alla lista il tema dell’immigrazione. C’è un termine a fare eco nel dibattito di queste ore, DREAMers, espressione che racchiude in pieno l’atteggiamento storico della democrazia americana nei confronti degli immigrati. I dreamers (letteralmente “sognatori”) sono gli immigrati minorenni provenienti da una lista di Paesi ed entrati illegalmente negli USA rispetto ai quali viene normata, sulla base di alcuni requisiti, la possibilità di legalizzare il proprio status e inseguire il sogno americano. Nel corso degli anni le maglie del DACA (il programma del Department of Homeland Security per i Dreamers) si sono allargate e ristrette a seconda delle maggioranze politiche. Con Trump la parola d’ordine è stata “blocco del DACA” e il DHS si è adeguato alle volontà della Casa Bianca.

I democratrici fanno ora capire esplicitamente che non si siederanno al tavolo delle trattative sul rifinanziamento se la posizione dell’amministrazione in materia di immigrazione non cambierà. Si apre così una guerra di trincea che sta letteralmente logorando gli schieramenti politici. L’idea di entrambi i gruppi è quella di portare le contrapposizioni avanti fino all’estremo per vedere se vi siano cedimenti o concessioni dall’altra parte. Il tempo passa e nessuno sembra indietreggiare di un solo passo.

Se l’immigrazione causa problemi tra i due schieramenti, non mancano tensioni all’interno della maggioranza repubblicana. Qui uno dei temi più cari al GOP, la Difesa, rischia di mettere in discussione la tenuta e l’unità del partito. L’ala più conservatrice e notoriamente vicina al Pentagono spinge per dirottare una parte cospicua dei finanziamenti verso il mondo della Difesa, che già ha visto crescere il proprio budget nel corrente mandato. Questo significherebbe sottrarre risorse da altri settori di interesse per il partito e la situazione provoca non pochi mal di pancia.

La frammentarietà, dunque, continua a inquinare il dibattito e il rischio concreto è che tale clima si sposti dalla politica al sistema amministrativo. Per scongiurare tale pericolo vi sarebbe un’ultima spiaggia, una sorta di rimedio temporaneo al mancato voto sul rifinanziamento, il Continuing Resolution. È stata Sarah Huckabee Sanders, portavoce della Casa Bianca, a richiamare più volte nelle ultime ore la possibilità di ricorrere ad una risoluzione di continuità per prendere tempo e spostare in avanti la deadline nell’agenda del Congresso. In ogni caso si tratterebbe di un provvedimento provvisorio.

Nonostante i richiami alla calma e l’apparente disinteresse generalizzato, il rischio di shutdown è dunque più concreto che mai.


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