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Il programma del centrodestra? A me convince. L’opinione del prof. Ippolito

A un mese e mezzo dalle elezioni, il centrodestra è una coalizione e ha un programma. Questo dato di fatto è il primo effetto del patto elettorale siglato ieri tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Certamente non tutti i problemi della coalizione sono risolti, e ancora non si è completato l’accordo, se mai ci sarà, con Noi per l’Italia. Tuttavia la notizia positiva è che i tre maggiori azionisti sono riusciti a stilare, pur nelle legittime differenze, un profilo d’idee condivise da cui poi si dipaneranno le congiunte e distinte campagne elettorali.

Il documento è breve e articolato su dieci capitoli, a loro volta suddivisi in brevi punti esplicativi, il primo dei quali presenta l’idea guida fondamentale relativa alla drastica riduzione fiscale: non soltanto l’arcinota Flat Tax, giustamente presentata senza l’indicazione precisa dell’aliquota, ma la No Tax Area, ossia l’esclusione dei redditi bassi dalle imposte, come garanzia di progressività, la tutela del risparmio e lo smantellamento della burocrazia inutile.

Questa reductio ad unum, di cui è stata enucleata in modi diversi la percorribilità economica dai protagonisti in diverse occasioni televisive, congiuntamente all’esclusione di imposte senza reddito e alla facilitazione al credito per le piccole e medie imprese, è inserita nel secondo punto concentrato sul principio generale di una riforma del rapporto tra Stato e Cittadino: meno Stato invadente, più Stato efficiente, vale a dire più società e più valore alla concretezza materiale delle persone.

Riorganizzazione, quindi, della macchina dello Stato e, aggiungo, considerare lo Stato per quello che realmente è: un mezzo e non un fine, uno strumento che aiuta e non un potere che opprime i cittadini.

Se, dunque, lo Stato deve essere ricondotto alla sua funzione sussidiaria rispetto alla vita delle persone, è altrettanto rilevante all’opposto il ruolo che lo Stato deve avere, punto numero tre, nel difendere i cittadini italiani dai vincoli europei.

Qui la posizione del centrodestra è opposta all’eterogenea galassia della sinistra. Il nostro destino non dipende dall’Europa, ma l’Europa deve diventare il nostro destino, perché il futuro dell’Unione è inseparabile dalla crescita economica e politica dei Paesi membri.

Dopodiché, politica sociale. Nel punto quattro si sottolinea l’importanza di colmare il divario poveri-ricchi attraverso aumento di pensioni minime, azzeramento della Legge Fornero e azione sussidiaria sulle periferie.

Eccoci così al piano sicurezza: essenziali appaiono nel programma la lotta al terrorismo, il blocco degli sbarchi, il Piano Marshall per l’Africa, nonché rimpatrio dei clandestini.

Di grande rilevanza positiva è, inoltre, la politica per la famiglia, contenuta nel capitolo sette. Famiglia e natalità al centro, con tutela del lavoro delle giovani madri e piena occupazione per la cellula base della società.

I punti finali, nove e dieci, riguardano infine le autonomie territoriali e gli ambiti tecnologico-ambientali.

Una nota, a mio avviso, originale e importante è il capitolo dedicato a scuola e Università. Molto positiva è la sottolineatura della centralità del rapporto docente-studente e medico-paziente. Oggi soprattutto l’Università è un luogo formativo in cui spesso i docenti fanno solo carriera e in cui la didattica è derubricata a funzione secondaria e marginale. Ribaltare questa gerarchia di valori è realmente quello che serve, riscoprendo la finalità dell’istruzione avanzata costituita per l’appunto dalla crescita personale e umana, oltre che culturale, degli studenti.

In sintesi, queste linee programmatiche sono forti, chiare e attuabili. Soprattutto posseggono una matrice identitaria molto netta e invitante per gli elettori liberali e conservatori italiani.

D’altronde, se essere di sinistra vuol dire credere in un programma di costruzione dell’Italia, non ottenibile senza il rispetto rigoroso delle normative europee e senza accrescere il ruolo dello Stato, è logico che il centrodestra punti essenzialmente sulle persone e sulla comunità particolare, valorizzate a pieno togliendo vincoli burocratici e politici alla nazione e garantendo la crescita soggettiva di persone e famiglie. Una politica di sinistra può poco ridurre le taste perché deve investire sulla trasformazione del Paese. Una politica di destra riduce le tasse perché vuole che si sviluppi il Paese.

Essere liberali, federalisti e nazionalisti non è altro che attuare in modo diverso questo presupposto comune a tutto il centrodestra, basato sul primato della persona concreta e della sua realtà sociale e produttiva rispetto alle componenti limitanti di tipo istituzionale, nazionali e internazionali. Una politica insomma più rispettosa della “natura” della società e meno concentrata sulla “volontà” dello Stato.

Per la prima volta il centrodestra è unito su un programma preciso, giusto e essenziale. In un momento storico in cui, viceversa, per la prima volta il centrosinistra è diviso su tutto, a cominciare dal programma, e in cui impazzano tendenze populiste, disfattiste, senza credenziali di governo, com’è il caso del Movimento 5 Stelle.

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