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La Chiesa e l’orizzonte naturale della politica

bassetti

I giorni passano rapidamente, e progressivamente si avvicinano le elezioni. Tutte le forze politiche sono ormai da giorni immerse nella campagna elettorale. Ovviamente in un clima molto sensibile di questo genere, acquisiscono un peso enorme le diverse sollecitazioni che provengono dalla società civile.

Di grande rilevanza è stato, in tal senso, l’intervento del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, (nella foto), il quale ha spiegato quale sia l’atteggiamento che la Chiesa reputa giusto tenere. Il prelato ha sottolineato, in primo luogo, che la Chiesa non è un partito politico, dunque non prende posizione direttamente in una materia che non gli è propria. In secondo luogo, ha esortato tutte le forze politiche a privilegiare il dialogo che, seguendo Papa Francesco, è l’unica via per ricercare autenticamente non degli accomodamenti di facciata, ma il bene comune.

Facendo eco al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Bassetti ha invitato poi giustamente a “superare ogni motivo di sfiducia e di disaffezione per partecipare alle urne con senso di responsabilità”.

Molto rilevanti e ferme sono state infine le parole espresse contro recrudescenze di xenofobia e razzismo: “Bisogna reagire a una cultura della paura che, seppur in taluni casi comprensibile, non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza che pensavamo fossero sepolti definitivamente. Non è chiudendo che si migliora la situazione del Paese. Ogni cristiano è chiamato ad andare verso di loro con un atteggiamento di comprensione e compassione perché siamo un’unica famiglia umana”.

Ovviamente non si tratta, neanche per quanto attiene alla difficile questione dei migranti, di un’ingerenza politica, anche perché in tal caso oltretutto Bassetti sarebbe entrato in contraddizione con se stesso. Siamo davanti piuttosto ad una precisazione del confine etico che separa una posizione politica che può essere legittimamente meno elastica di un’altra sulle accoglienze da una concezione che all’opposto assuma atteggiamenti di disprezzo pubblico per la dignità umana di singoli gruppi di persone.

Forse per capire bene il giusto calibro con cui va valutato questo monito, bisogna sempre ricordare che nel Vangelo Gesù stesso ha distinto in maniera molto netta le prerogative che sono proprie della politica, autonoma rispetto alla fede e distinte dalla religione, e quelle che invece riguardano la Chiesa, la cui missione pubblica è libera ed autonoma, e può costituire solo così un ausilio valido anche per la politica.

Francesco Olgiati, in un bellissimo libro classico titolato Sillabario del Cristianesimo, spiegava molte bene quale sia il giusto equilibrio che deve ispirare un ordinato rapporto tra Chiesa e politica.
Alla base di tutto vi è la distinzione tra “ordine naturale” e “ordine soprannaturale”. La politica appartiene al primo ambito, regolato dalla legge morale universale, che costituisce e legittima le singole comunità ad organizzarsi in modo democratico per realizzare il proprio bene comune specifico.

San Tommaso d’Aquino, rifacendosi ad Aristotele, considera questo spazio costitutivo della tendenza generale degli esseri umani a formare per natura delle “società limitate e autosufficienti”, la regolazione delle quali oggi è determinata dai modi in cui le diverse formazioni politiche propongono e applicano soluzioni concrete ai cittadini-elettori.
La Chiesa, viceversa, si muove in un ambito soprannaturale che riguarda ogni essere umano ed è finalizzata a promuovere la fede oltre la ragione, la carità oltre la giustizia, l’universalità del genere umano oltre le comunità determinate.

Perciò, fermo restando che ogni forma di razzismo e xenofobia resta contraria alla legge morale naturale, è perfettamente legittimo che un progetto politico preveda restrizioni sul diritto alla cittadinanza e un contrasto forte all’immigrazione clandestina. Bisogna stare attenti.

In taluni momenti della storia vi è stata un’invadenza del potere politico nell’ambito delle libertà che sono proprie della Chiesa universale, basti pensare al comunismo o al laicismo. In altri, invece, vi è stata un’invadenza del potere ecclesiastico in ambito politico, come ad esempio in vari episodi storici di teocrazia.

È molto importante, al di là delle esigenze pastorali che la Cei mette giustamente a tema nello spazio pubblico, che l’universalità soprannaturale della carità e dell’accoglienza personale non sia trasformata in un imperativo politico per gli Stati nazionali. Anche perché la fede presuppone la politica, tanto quanto la grazia presuppone la natura, e la natura del bene comune politico riguarda la singola comunità, vero mattone specifico su cui è possibile edificare un ordine mondiale dei popoli, non derubricabile necessariamente alla globalizzazione, e comunque mai in ragione della fede.

In tal senso, è possibile avere un’idea multiculturale o monoculturale della cittadinanza senza che questo metta in discussione né la ricerca del bene comune, né la compatibilità con la fede cristiana.

Una precisazione, quest’ultima, molto importante per garantire il pluralismo e il principio della non ingerenza della Chiesa, in una fase storica in cui i fedeli cristiani sono presenti in tutti i partiti e nella quale uno dei temi più controversi che separano il centrodestra dal centrosinistra è proprio l’idea più o meno estesa di cittadinanza.



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