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La guerra di Barros nel viaggio di Francesco e le ferite ancora aperte

sindacati, tradizioni religiose

Doveva essere, e in gran parte è stato, un pellegrinaggio nel segno della riconciliazione e della non violenza. Difficile dire che i fratelli nell’episcopato di Jorge Mario Bergoglio abbiano saputo coadiuvarlo e lui ha sopperito con il suo carisma e con gesti che ne testimoniano la straordinaria capacità di impersonare una Chiesa in un’uscita. Ma questo messaggio, che ha saputo toccare tutte le corde e tutte le problematiche del continente latino-americano, dalle sue carceri ai suoi giovani, dalla diffusione epidemica della corruzione alla crisi della politica, dalle sue donne e i suoi femminicidi ai suoi popoli amazzonici disprezzati e all’imminente sinodo sull’Amazzonia, dalla madre terra abusata ai minori abbandonati e quindi a tutti i suoi infiniti nodi irrisolti, è inciampato su un vescovo cileno, titolare della diocesi di Osorno, monsignor Barros, e sulla gravissima ferita degli abusi ai danni di minori.

Appena giunto in Cile il papa ha espresso vergogna, nella sua prima apparizione pubblica, per questo orrore, chiedendo scusa alle vittime davanti alle massime autorità del Paese, la presidente uscente e il presidente entrante, unendosi ai vescovi cileni nella richiesta di perdono.  Alcuni vescovi però sono chiamati in causa dalle vittime, tra di loro c’è chi  avrebbe coperto gli abusatori. Due di costoro hanno avuto la delicatezza di non seguire il papa nel suo viaggio, facendosi in questi giorni da parte. Non altrettanto ha fatto il titolare della diocesi di Osorno, accusato di aver insabbiato gli scandali. Lui, monsignor Barros, è voluto andare dalla sua Osorno a Santiago, ed essere presente alla messa officiata dal papa. E così molti giornali cileni hanno titolato “il Tour di Barros”. Il suo non è un nome qualsiasi, è ritenuto vicinissimo a uno dei sacerdoti responsabili di abusi, Fernando Karadima. Nega ogni addebito, e proprio per questo, ha detto, ha voluto esserci, a Santiago del Cile. In piazza, durante la grande messa di apertura, lui era sul lato della piazza dove si trovavano gli altri vescovi, mentre i fedeli della sua diocesi, con cartelli polemici, erano dall’altra. In quel lato c’era anche Mariano Pluga, che tutti i giornali chiamano il prete operaio, uno di quelli che non ha dimenticato i preti e i fedeli vittime di Pinochet e della sua dittatura. Intorno a Mariano Pluga i fedeli contestatori chiedevano l’allontanamento di Barros.

Certo, nulla impediva a Juan Barros di partecipare a quel grande evento ecclesiale, e se lui è certo della sua innocenza forse era troppo chiedergli di rinunciare, sebbene due suoi colleghi abbiano saputo farlo. Ma che in piazza ci fossero due chiese, una intorno a lui, una intorno ai fedeli che lo contestano, lo hanno notato in molti. Tre giovani vittime di Fernando Karadima,  hanno tenuto una conferenza stampa, dicendosi feriti dalle parole pronunciate da papa Francesco durante un’intervista di poco precedente, durante la quale, richiesto un giudizio, il papa infatti ha detto che a lui risulta che contro Barros non c’è nulla di nulla, nessuna prova. Dal versante delle vittime si sarebbe detto che loro scrissero lettere di denuncia, ma Barros, in virtù dell’incarico che ricopriva al tempo, le avrebbe fatte sparire.

Le parole dell’arcivescovo di Boston, O’ Malley, che guida la commissione pontificia voluta proprio da papa Francesco per la tutela dell’infanzia, hanno espresso tutto il rilievo e la dolorosità dello scontro. Tanto che nel pomeriggio di ieri si è diffusa la voce di un suo viaggio a Lima per incontrare il papa.

L’indiscrezione ha trovato conferma, anche se nelle ore precedenti la partenza di Francesco da Lima è stata diffusa una nota dell’autorevole cardinale da Boston: “È comprensibile che le affermazioni che papa Francesco ha fatto a Santiago, in Cile, siano state fonte di grande dolore per le persone che hanno subìto abusi sessuali da parte di elementi del clero o di qualsiasi altro colpevole”. Il porporato ricorda che espressioni come “se non puoi dimostrare le tue accuse, non puoi essere creduto”, fanno sentire abbandonato chi ha subìto “riprovevoli violazioni criminali della sua dignità e relegano le vittime in un esilio di discredito. Non essendo stato personalmente coinvolto nelle situazioni che sono state l’oggetto dell’intervista – spiega il cardinale O’Malley –  non so dire per quale ragione il Santo Padre abbia scelto i termini specifici che ha usato in quell’occasione. Quello che però so è che Papa Francesco riconosce pienamente gli enormi errori della Chiesa e del suo clero che ha abusato di bambini, e il devastante impatto che questi crimini hanno avuto sulle vittime e sui loro familiari. Ho accompagnato il Santo Padre in molti dei suoi incontri con le vittime, e ho potuto constatare il suo dolore nel prendere coscienza della profondità e dell’ampiezza delle ferite inflitte a chi aveva subìto abusi, e nel constatare che il processo di guarigione può richiedere una vita intera. Le affermazioni del Papa sono che non c’è posto nella Chiesa per chi abusa dei bambini e che dobbiamo adottare la tolleranza zero, perché questi crimini sono reali e combatterli è il suo impegno. Le mie preghiere e la mia pena saranno sempre con le vittime e con i loro familiari. Non potremo mai annullare le sofferenze che hanno vissuto, né pienamente curare il loro dolore. In alcuni casi dobbiamo accettare che perfino il nostro sforzo di offrire assistenza sia motivo di angoscia per le vittime, e che dobbiamo pregare per loro in silenzio mentre offriamo il nostro sostegno come risposta del nostro dovere morale. Personalmente, continuo nel mio lavoro per la guarigione di tutti coloro che sono stati così gravemente feriti e per la vigilanza nell’impegno di garantire la tutela dei bambini nella comunità della Chiesa, in modo che questi crimini non accadano mai più”.

La “guerra di Barros”, accanto alla quale si annovera ora il papa stesso, potrebbe dunque diventare l’occasione per una rivincita su quella parte del mondo ecclesiale locale, debole, impaurito e tentennante, che prova a risollevare le sorti di questa chiesa così sofferente, ferita e divisa, come era divisa per molti giornali la piazza di Santiago del Cile.

Per la chiesa del Cile ormai la vicenda è diventata la maledizione “Karadima-Barros” che devasta gravemente una comunità come quella cilena. La dichiarazione di O’Malley sembra indicare che la strada suggerita possa essere che il vescovo di Osorno rinunci e che il Papa accetti questa decisione. Questo non gli impedirebbe di restare fedele a se stesso, fedele cioè al principio che l’onere della prova è a carico dell’accusa, ma anche capace di autentica vicinanza alle vittime di un crimine odioso. Difficile non notare che in Perù le sue parole siano state usate da chi è stato commissariato proprio per altri gravissimi casi di abuso su minori, sostenendo che anche contro di loro non c’erano prove. Difficile anche non notare che i molti che non seguono il papa con simpatia non lo criticano certo per il caso Barros, ma per aver sposato due dipendenti dalla compagnia aerea con cui ha volato, che non hanno potuto sposarsi in chiesa perché nel loro paesino è stata distrutta dal terremoto: “Ma avevano fatto il corso prematrimoniale?”.

Il presenzialismo del vescovo Barros ha certamente fatto da velo a un viaggio di nuovo importantissimo, ricco di discorsi, incontri e gesti che avrebbero potuto segnare l’inizio di una nuova era per l’America Latina e la sua Chiesa in uscita.

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