Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Il 2018 sarà l’anno in cui Trump spingerà gli Usa contro la Cina?

Trump, Cina, naso sanguinante, congresso

Secondo Bill Bishop, curatore della seguitissima newsletter “Sinocism” e tra i più esperti osservatori del mondo cinese, il 2018 potrebbe essere l’anno in cui Washington cambierà definitivamente linea con Pechino. Il senso, per l’analista, è che gli Stati Uniti potrebbero prendere nell’anno che inizierà la traiettoria dura che il loro presidente vorrebbe — promessa più volte, già dalla campagna elettorale — e che finora è rimasta ovattata dalla sordina del primo anno di presidenza. Almeno tre ragioni indicano che questo periodo, diciamo di adattamento, potrebbe concludersi e aprirsi una postura più severa.

UNA POTENA RIVALE

Primo, Washington ha inquadrato la Cina come un avversario nel documento sulle strategie per la sicurezza nazionale, “rival power” la definizione esatta. La Casa Bianca ha dato molto risalto al documento programmatico, con Donald Trump che ha scelto di spiegarne in prima persona i quattro punti chiave; ed è chiaro coma la Cina, potenza globale crescente a tutto campo, rappresenti un concorrente strategico per Washington sotto ognuno dei filoni: proteggere il territorio statunitense, proteggere la prosperità americana, preservare la pace attraverso la deterrenza e avanzare l’influenza internazionale di Washington. Pensare per esempio che in distillazione ultima per Trump la Cina è responsabile della crisi nordcoreana, che minaccia Guam (territorio americano); contemporaneamente diffonde prodotti che concorrono con gli americani (spesso li battono in una concorrenza considerata impari, e facendolo impediscono un’adeguata prosperità ad aziende e cittadini statunitensi); allo stesso tempo, la Cina sta avanzando aggressivamente nel Pacifico (dove minaccia la pace e l’equilibrio che gli americani pretendono di mantenere sotto la propria influenza esclusiva).

RESPONSABILITÀ E TEST DI COOPERAZIONE

Secondo aspetto: Trump ha apertamente dichiarato più volte che secondo il suo punto di vista la Cina non sta facendo abbastanza per contenere crisi potenzialmente catastrofiche, come quella nordcoreana appunto; ma il discorso è traslabile seguendo quel che accade fra le acque del Mar Cinese, sia lungo la fascia orientale che in quella meridionale). Per Trump questi delicati dossier sono una cartina di tornasole, un test per verificare se è o sarà possibile instaurare con la Cina una possibilità di cooperazione o collaborazione. E quando denuncia vicende come quelle del traffico clandestino di petrolio cinese verso Pyongyang in violazione ai dettami ONU, manda un messaggio che sottintende nemmeno troppo velatamente che sta esaurendo la pazienza.

I FALCHI VOLANO SEMPRE PIÙ IN ALTO

Terzo. Gli uomini della linea America First stanno prendendo via via più peso all’interno dell’amministrazione. Ci sono consiglieri molto ascoltati come Stephen Miller che potrebbero nel 2018 acquisire ancora più rilevanza e sono coloro che sposano a pieno le politiche aggressive di Trump anche con la Cina, per esempio quelle relative alla guerra commerciale. Misure con cui la Casa Bianca potrebbe decidere di intervenire con forza sull’enorme sbilancio commerciale che grava sugli Stati Uniti per oltre 300 miliardi di dollari all’anno, o sulla questione dei furti di proprietà intellettuale. Misure che saranno apprezzate dai fan del “nazionalismo economico”, per citare la definizione delle policy trumpiane date dallo stratega Stephen Bannon, e che il presidente potrà rivendere elettoralmente come un mezzo per “Make America Great Again” mettendo al primo posto gli interessi degli americani (per dirle secondo i due più importanti claim elettorali di Trump).

COSA DIRÀ IL PARTITO

Molto dipenderà dagli equilibri col partito: il 2018 è l’anno delle mid term, le elezioni che dopo i primi due anni del mandato presidenziale porteranno al rinnovo di molti seggi nelle camere. Il Partito Repubblicano è il partito di Trump, ma finora i rapporti tra presidente e politica sono stati limitati (anche perché Trump ha vinto definendosi come uomo di rottura con la vecchia politica e con gli establishment collegati, e dunque il distacco è tanto voluto quanto dovuto). I repubblicani finora sono però riusciti a guidare le politiche della presidenza allineandole su un solco quanto più possibile classico del conservatorismo Usa, e per farlo hanno appoggiato gli uomini del presidente più moderati: ma non è detto che che se il partito dovesse percepire che l’elettorato chiede più aggressività, non venga lasciata più libertà d’azione al Prez e alle sue visioni più istintive. E la Cina potrebbe essere un utile terreno di compromesso.

×

Iscriviti alla newsletter