Mercoledì il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, è arrivato in Ucraina, dove ha incontrato il suo omologo locale Pavel Klimkin, ha rimarcato i rapporti “dinamici e fruttuosi” tra i due Paesi (dice una nota da Kiev) e oggi visiterà le aree vicino alla zona di demarcazione nella regione orientale, quella che è ancora oggetto della contesa territoriale tra ribelli filo-russi e governo centrale.
Gli Esteri di Kiev scrivevano nel comunicato che ha anticipato l’incontro che “la questione chiave dei colloqui sarà il ruolo della Germania, insieme alla Francia, nel formato Normandia per contrastare l’aggressione russa […] Per questo motivo, il ministro discuterà ulteriori passi congiunti per ripristinare l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina, nonché il rilascio dei prigionieri ucraini catturati dai russi”. Poi Gabriel è andato davanti ai giornalisti per la consueta conferenza stampa che accompagna certi meeting e ha detto che, secondo come ha potuto valutare la situazione (facendo intendere che l’ha potuta toccare con mano, dal campo), serve che le Nazioni Unite inviino una forza di peacekeeping, “armata”, in tutta l’area dell’Ucraina orientale. E devono farlo prima delle elezioni russe del 18 marzo. Klimkin ha rincarato la dose: “Ho fornito a Sigmar una descrizione dettagliata dell’attuale situazione nel Donbass. È molto tesa. Non abbiamo realmente un cessate il fuoco. Solo negli ultimi giorni, abbiamo registrato 60 attacchi, oltre un terzo dei quali con armi proibite. Abbiamo perso tre soldati, mentre 15 sono rimasti feriti”, ha detto ai giornalisti.
Gabriel ha annunciato che insieme alla Francia proporrà al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’invio in tempi rapidi di un contingente militare, che sarebbe “essenziale” per creare un cessate il fuoco “duraturo”. Il CdS dell’Onu è composto da cinque membri permanenti con diritto di veto, uno di questi è la Russia, che difficilmente accetterà tout court la proposta di Berlino, e dunque quello che dice Gabriel assume ancora più valore politico: perché è una proposta che attualmente è quasi un “non-starter” (come si dice in questi casi) e dunque segna una posizione con cui Berlino stuzzica Mosca – Gabriel dice che la questione Ucraina “è per noi un problema attuale”, ed è interessante perché la Germania e la Russia hanno delicati rapporti strategici (sull’energia, per esempio). Il presidente Vladimir Putin ha invece un punto fermo: sarebbe anche d’accordo sull’invio di soldati Onu, ma li vorrebbe posizionati dove decide lui, ossia soltanto lungo il confine che divide le regioni separatiste dal resto dell’Ucraina (e non all’interno delle stesse come si capisce dalla proposta di Gabriel), e assolutamente non li vuole lungo i confini con la Russia (ossia in quelle zone che Kiev non controlla perché sono in mano ai ribelli).
Gabriel ha sottolineato che il negoziato all’Onu non dipenderà – e “non dovrebbe dipendere”, ha detto – dalle presidenziali russe, per questo s’augura di arrivare a un’intesa sull’invio del contingente di Caschi Blu prima del voto di marzo, ma la situazione in Ucraina è tema da riprendere quando si parla di politica estera durante la campagna, e Putin non vorrà rischiare di annacquare la retorica grandiosa e anti-occidentale accordando una proposta tedesca (ossia: europea) che non gli piace.
Gabriel è passato anche su un’altra questione stringente in queste ultime settimane: l’invio di armi letali da parte degli Stati Uniti all’Ucraina. La decisione di Washington è stata tenuta appesa per anni dall’amministrazione Obama, ma poco prima di Natale la Casa-Bianca-Trump ha deciso di dare luce verde alle raccomandazioni di Pentagono, dipartimento di Stato e del consigliere delegato per trattare il conflitto (Kurt Volker, uno che con franchezza ha definito le regioni separatiste “sotto il controllo russo al 100 per cento”).
Gabriel ha stuzzicato anche Washington e ha detto che “se c’è una cosa che è troppo in questa regione, sono le armi: in Germania abbiamo una visione piuttosto scettica del fatto che le consegne di armi siano in grado di risolvere il conflitto”. Klimkin ha subito replicato che quelle armi americane saranno utilizzate “solo a scopo difensivo”, e d’altronde, come fa notare Peter Dickinson dell’Atlantic Council, Kiev sente Washington più vicina dopo i timori che hanno seguito l’elezione di Donald Trump e la sua idea – inattuata, al momento – di un avvicinamento alla Russia. Ma forse Gabriel con le critiche agli americani cercava crediti, e con l’idea dei Caschi Blu, da giocare di sponda con la Francia, ha provato a spostare verso l’Europa il dossier.