Le relazioni diplomatiche tra la Chiesa cattolica e la Repubblica Popolare Cinese sono vicine a un punto di svolta. Una prova è data sia dalla bozza di documento su cui stanno lavorando le diplomazie e sia dalle parole ottimiste del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin rilasciate in un’intervista, qualche giorno fa, su Vatican Insider.
Il nodo della questione riguarda un punto cruciale nelle relazioni tra la Chiesa di Roma e le chiese cattoliche orientali, vale a dire la nomina dei vescovi, la quale ordinariamente è di competenza diretta del Papa. Questa prerogativa canonica vige da quando in Europa, dopo secoli di lotte per le investiture, si raggiunse un fragile concordato tra impero e papato a Worms nel 1122. In quell’occasione solenne, i due contraenti pattuirono che il Papa avrebbe nominato i vescovi dandogli l’investitura episcopale e l’Imperatore avrebbe loro riconosciuto la legittimità apostolica, offrendogli i benefici temporali e rispettando la libertà pastorale.
In realtà tutto il periodo che va dal 1057 al 1123 è stato dominato da continui conflitti che sono ripresi anche successivamente fino ai concordati moderni. Basti pensare, per ricordare un punto massimo di crisi, la disputa nel XIV secolo tra Bonifacio VIII e Filippo IV il Bello, all’origine del successivo Grande Scisma di Occidente, durato più di un secolo, ma anche lo scontro duro tra la Francia e la Santa Sede nel XVII secolo. L’usurpazione continua compiuta dalla politica ai danni del Papa, che ha trovato il suo apice quando Enrico V nel 1111 estorcerà con la violenza a papa Pasquale II la prerogativa della nomina dei vescovi, è all’origine anche della riforma protestante, con la quale le chiese riformate si separarono definitivamente da Roma, ma è anche causa del recente scisma dei lefevriani, i quali, appunto, avendo un proprio clero, sono istituzionalmente diventati esterni alla Chiesa universale.
È muovendo da queste origini storiche del conflitto tra episcopi nazionali e chiesa universale che va compresa anche l’attuale difficoltà nei rapporti diplomatici tra la Cina e Roma. Infatti esiste nel grande territorio della Repubblica Popolare una separazione tra alcuni vescovi cattolici, nominati dal governo senza l’approvazione pontificia, e altri vescovi invece ufficiali che trovano l’ostilità politica di Pechino.
La soluzione, tuttavia, non è di natura soltanto formale, ma sostanziale. Infatti, anche in Europa, quando la riforma gregoriana riportò al Papa l’autorità assoluta di nomina, i vescovi eletti o nominati, secondo i casi, dall’imperatore non furono tutti deposti, ma fu necessario unicamente che ad essi fosse dato il nulla osta, ossia l’assenso finale, dalla Santa Sede. Il Papa conservò cioè il potere di deposizione, rendendo legittimi tutti i vescovi che non ricevessero esplicitamente l’abiura.
Quello che avverrà nella Cina del XXI secolo sarà certamente qualcosa di simile. Probabilmente si arriverà ad una situazione concordataria che permetterà allo Stato cinese di potere avere una voce in capitolo sulla nomina dei prelati, in accordo con il Papa.
Insomma, il diritto ecclesiastico è duttile in materia. Anche perché, non dimentichiamoci che, fino all’elezione di Pio X nel 1903, sussisteva ancora il veto laicale sull’elezione del Pontefice, poi presto abolito, che l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe infatti utilizzò contro il cardinale Rampolla prima del conclave, impedendogli di salire sulla cattedra di Pietro.
In ogni caso il concorso delle autorità civili nella nomina dei vescovi in sé non è in contraddizione con la comunione apostolica dei vescovi con il Papa, purché sia il Papa a dare la consacrazione episcopale.
È evidente che la situazione politica particolare della Repubblica Cinese, ultimo grande Paese comunista del mondo, con l’annessa tutela della minoranza cattolica, richiede un’infinità di garanzie e soprattutto il riconoscimento pieno della libertà religiosa che spetta alla comunità cristiana. Di tale libertà, è la storia che lo insegna, la nomina romana dei vescovi costituisce un fattore cruciale e una garanzia fondamentale, difficilmente assicurata quando i rappresentanti di Dio sono nominati da Cesare e soggetti al potere dei suoi pretoriani.