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La lezione tedesca delle 28 ore settimanali

angela merkel, germania

L’accordo tra le organizzazioni del settore metalmeccanico in Baden Württemberg ha subito suscitato in Italia aspirazioni imitative. Cosa buona e giusta ove se ne leggano e comprendano tutti i contenuti e le condizioni di contesto. Potremmo subito dire che esso rappresenta una plastica conferma della linea di coloro che hanno sempre auspicato relazioni industriali di prossimità, andamenti retributivi collegati alla produttività, adattabilità reciproca tra le parti attraverso flessibilità funzionali al benessere dei lavoratori e all’efficienza delle imprese.

Il contratto regionale è innanzitutto una buona prassi tedesca che privilegia da tempo le intese aziendali e territoriali al rigido contratto nazionale. È a questi livelli che si possono misurare la produttività e definire gli incrementi retributivi con cui si realizza una equa distribuzione dei risultati che ne sono derivati. Lì è facile presumere che nel primo incontro negoziale il sindacato abbia portato i numeri elevati della produttività e dei profitti registrati nelle imprese del land e chiesto di farne partecipare i lavoratori.

Così come in Italia l’ultima trattativa per il contratto nazionale dei metalmeccanici si aprì con i numeri della parte datoriale sulla chiusura di un terzo di imprese nella crisi, sulla bassa produttività media registrata, sulla geografia dei profitti a macchia di leopardo, sulla obiettiva necessità di spostare il negoziato sugli incrementi retributivi e sulle flessibilità organizzative al livello aziendale o interaziendale. Il contratto nazionale ha offerto solo un ombrello leggero di linee guida per temi come il salario, la formazione, le mansioni e gli inquadramenti professionali che devono essere declinati nelle diverse circostanze di impresa. In particolare la modulazione dell’orario sarà materia che le parti aziendali potranno regolare anche in Italia per favorire le esigenze della maggiore intensità di produzione in determinate fasi di mercato o quelle di conciliazione tra tempo di lavoro e di famiglia in determinate fasi di vita del lavoratore.

Niente di nuovo insomma. Se non che in Germania le cose stanno andando meglio che da noi così da consentire processi redistributivi comunque realizzati non a livello nazionale ma nei territori. Per le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori italiane l’intesa deve rappresentare lo stimolo a superare ogni residua presunzione di contrasto di interessi tra le parti e ogni pigrizia burocratica per la riproduzione dei vecchi contratti nazionali monolitici. Da questi limiti delle relazioni industriali è largamente derivata la bassa produttività del lavoro nelle imprese italiane. La nuova via è stata peraltro già indicata dal nuovo contratto dei metalmeccanici. Non resta che applicarlo diffusamente.


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