Skip to main content

Uranio impoverito e tumori? Un’aberrazione da sciamani

niger

La Commissione parlamentare istituita per indagare sull’utilizzo dell’uranio impoverito in zone di guerra, ha stabilito (10 favorevoli e due contrari, a questi ultimi coraggiosi va il mio applauso) un nesso di causalità tra esposizione all’uranio impoverito e patologie di militari impiegati in missioni di guerra.

Le conclusioni della Commissione sono un impasto di fallacia, ignoranza tecnica e manipolazioni improvvide delle testimonianze degli esperti. Indice di deformazione ideologica e disinformazione sfacciata ed esibita. Trascuriamo pure il sorprendente schiaffo istituzionale alle nostre Forze Armate che dichiarano di non aver mai acquistato o impiegato munizioni contenenti uranio impoverito. La Commissione tratta da mendaci i vertici delle FFAA. Quasi un pronunciamento. Assurdo e inaccettabile. Veniamo al merito.

L’uranio impoverito (uranio 238 in prevalenza) non è chimicamente diverso dall’uranio di ogni tipo e presente in natura. È solo il sottoprodotto di trattamenti artificiali tesi a ricavare dall’uranio naturale il combustibile necessario per le centrali elettriche. Le conseguenze dell’esposizione all’uranio impoverito, perciò, è uguale a quella a tutti i tipi di uranio. L’uranio, impoverito, arricchito o naturale, è debolmente radioattivo. Allo stato normale, in esterno, la radioattività in presenza di uranio non aggiunge quasi nulla a quella del fondo naturale. È trascurabile. Inoltre: l’uranio è un emettitore di particelle alfa e beta. Che significa? Sono emissioni poco penetranti (a differenze di quelle gamma o neutroniche di altri tipi di sostanze radioattive). Per avere effetti di “malattia da radiazione” (infezioni cutanee, infiammazioni ecc) occorrerebbe avere una lunghissima esposizione a queste radiazioni e senza alcun tipo di protezione (basta un foglio di carta per fermare i raggi alfa ).

Altra cosa i tumori. Per creare la probabilità di tumori, le particelle radioattive devono essere inalate per via aerea o digestiva. Per creare una causalità tra radiazioni e tumori, invece, occorrono due condizioni: evidenziare una meccanica dei fatti avvenuti che dimostri l’inalazione o la digestione di elevate dosi di sostanze radioattive; registrare un’evidenza epidemiologica. Vale a dire, un numero di tumori registrato nello stesso luogo e nello stesso tempo. Tale da fare escludere che il tumore denunciato sia dovuto ad altre cause, senza rapporto con l’uranio, o al caso.

Il numero di tumori denunciato per i militari oggetto dell’esame della Commissione è di soli tre casi (ovviamente distinti tra loro per tempi e luoghi). Impossibile, in questo caso, stabilire una causalità tra esposizione all’uranio e tumori. Inoltre, la carcinogenesi (la mutazione del dna che sviluppa cellule tumorali) indotta da radiazioni ionizzanti (quelle delle sostanze radioattive) ha una latenza: i tumori si sviluppano nel tempo non immediatamente. Com’è invece nel caso dei militari indagati dalla Commissione. Infine: non ogni dose radioattiva, inalata o ingerita, sviluppa tumori. A basse dosi è più probabile che l’organismo umano reagisca, piuttosto, con un meccanismo di autoriparazione che le cellule possiedono e che può essere disarmato solo da dosi soverchianti. Non è neanche questo il casi dei nostri soldati di cui non è stata indicata, non si vede traccia nella relazione, la dose di assorbimento effettiva ricevuta.

Niente di tutto questo è indicato nella relazione dei parlamentari. Resta solo una possibilità (per evitare la fatalità casuale) che le patologie tumorali denunciate siano collegate non alla radioattività ma ad agenti tossici. I militari ammalati potrebbero aver inalato o ingerito sostanze tossiche (polveri, microparticelle di metalli o altro) che hanno sviluppato degenerazioni tumorali. L’uranio, in questo caso, potrebbe essere sostituito da qualunque altro elemento che possa aver veicolato polveri o microparticelle nei tessuti, ammalandole.

È il meccanismo con cui si sviluppano patologie tumorali in ogni contesto ambientale. L’impiego nei teatri di guerra, in questo caso, può entrarci o non entrarci. Insomma non è il caso di affidare conclusioni tecniche, sanitarie o scientifiche a Commissioni parlamentari. Che, come se non bastasse, si esercitano a suggerire soluzioni terrorizzanti, cervellotiche e destabilizzanti. Come l’invito alla magistratura a moltiplicare le condanne (e i risarcimenti) per le “malattie militari”.

Mi trattengo dall’usare il termine “eversivo” per le FFAA e l’economia. E ciò arrogandosi loro, i politici (e non i medici) la pretesa di stabilire colpe e nessi causali tra attività militari e malattie. Un’aberrazione. I politici italiani, da almeno 30 anni, hanno dimostrato di conoscere e trattare la radioattività allo stesso modo con cui i pentastellati trattano i vaccini e le scie chimiche: da stregoni e sciamani.


×

Iscriviti alla newsletter