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Musulmani europei, ecco cosa ha detto Minniti in visita alla Moschea di Roma

È una visita storica quella del ministro dell’Interno Marco Minniti alla Grande Moschea di Roma, da due mesi presieduta da Khalid Chaouki. Così l’hanno giudicata le numerose autorità islamiche accorse ad accogliere il ministro questa mattina: dall’imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis, e lo storico segretario generale della moschea Abdellah Redouane fino al giornalista italo-pachistano Ejaz Ahmad e il fondatore delle Co-mai Foad Aodi. Con loro, a suggellare il peso della visita di Minniti, anche rappresentanti del corpo diplomatico, come l’ambasciatore del Marocco Hassan Abou Ayoub, seguito dai colleghi dell’ambasciata d’Egitto, d’Arabia Saudita e dell’Iraq.

L’occasione è la presentazione dell’ultimo volume di Limes, “Musulmani europei“, motivo per cui assieme a Chaouki e alla professoressa della Luiss Francesca Corrao, a introdurre il ministro c’era il direttore della rivista Lucio Caracciolo. Il discorso di Minniti, che si dice “commosso e onorato” per l’invito e al termine dell’incontro ha visitato l’interno della moschea togliendosi le scarpe come richiesto, ha spaziato più in là. L’obiettivo, ha spiegato, è tutelare l’integrazione e la sicurezza al tempo stesso, mantenere il rapporto fiduciario instauratosi fra le comunità islamiche italiane e lo Stato all’inizio del 2017, con il “Patto per l’Islam” firmato dal Viminale. Non a caso è stato preferito uno strumento consensuale, “un incontro di libere volontà, come è giusto che sia”, rispetto a una legge, ha spiegato il ministro, perché “ci vuole prudenza nell’affrontare questioni religiose con leggi dello Stato. È un terreno scivoloso”. Chaouki da parte sua dà a Minniti il merito di “uno sforzo concreto e costante per portare i musulmani intorno a un tavolo” e lancia un appello ai musulmani italiani, quello di “fare un passo indietro e ripartire da qui”, dall’incontro fra istituzioni e comunità islamiche.

Il patto per l’Islam richiede un impegno reciproco per facilitare il lavoro alle forze dell’ordine e garantire la sicurezza di tutti, a partire dai musulmani. Minniti ne ha richiamati i termini principali: “Le moschee sono luoghi di culto pubblici e aperti al pubblico. È importante che non ci sia diffusione incontrollata degli imam fai da te, i sermoni si fanno nella lingua italiana”. A questi il titolare del Viminale ha aggiunto l’idea discussa da tempo di “un albo per gli imam italiani”. Se il patto continuerà a dare i suoi frutti, ha promesso Minniti, “se si rafforzerà con la crescita di una identità di un Islam italiano, con l’effetto che avremo un unico interlocutore, noi possiamo dire che questo patto può essere il veicolo di una intesa di carattere istituzionale”.

C’è poi l’altra faccia della medaglia, quella dell’integrazione, “parola chiave per il futuro”. Perché se è vero che il terrorismo jihadista si richiama all’Islam, sono i musulmani a pagare il prezzo più alto. Per questo Minniti ha sottolineato l’importanza della visita di papa Francesco in Egitto, dove cristiani copti e musulmani subiscono entrambi la violenza estremista: “Quando si colpiscono sia i cristiani copti sia i musulmani, è evidente che uno degli obiettivi fondamentali è colpire tutti i ruoli di convivenza e dialogo religioso”. Quel viaggio, ha aggiunto Minniti, rappresenta “il cuore della questione” e probabilmente “se non avessimo avuto papa Francesco il percorso si sarebbe fatto più complesso”.



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