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Paese senza leader. Perché la politica italiana ha tanti timonieri ma nessuna visione. Parla Luciano Fontana

Le baruffe dei talk show, le faide interne, le promesse irrealizzabili sono solo un volto dell’Italia che si avvicina al voto del 4 marzo con una campagna elettorale anomala, piatta, alienata. Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, nel suo ultimo libro, “Un Paese senza leader. Storie, protagonisti e retroscena di una classe politica in crisi” (Longanesi, pag. 223, euro 16,90), impreziosito da una raccolta di vignette inedite di Giannelli, racconta l’altra faccia della medaglia: quella di un Paese che ha tanti capitani di ventura, ma nessun vero leader. Chi riesce ad emergere si trova presto in balia del fuoco incrociato dei compagni di partito, prima ancora degli avversari. Il suo destino dipende da tutto, fuorché dagli elettori che gli hanno dato fiducia. Oggi ogni forza politica ha un suo volto, ma un vero leader, spiega Fontana a Formiche.net, non è “un’etichetta” di partito, è “una persona che ha una visione”.

Direttore, perché la politica italiana è strutturata per fagocitare i nuovi leader?

È un tratto tipico del carattere nazionale: soffocare i nuovi leader che hanno una funzione di trascinamento, un progetto e un particolare rapporto con l’opinione pubblica. Il nostro sistema istituzionale non permette a chi è investito del voto dei cittadini di mettere in pratica in un periodo congruo le sue proposte.

Nel libro lei auspica un ritorno a un sistema elettorale maggioritario a doppio turno. Cosa non va nel Rosatellum bis?

L’attuale legge elettorale sembra fatta apposta per esaltare le differenze più che le personalità unificanti. Oggi, dopo venticinque anni di Seconda Repubblica, ci ritroviamo con un sistema politico frantumato e dei leader colpiti e dimezzati, ma lo stesso era successo anche alla fine della Prima Repubblica. Il famoso maggioritario introdotto con il Mattarellum, che doveva portarci a un sistema bipolare, era minato alle radici da una quota di proporzionale e dagli accordi preventivi sulla presentazione dei candidati, tanto che il primo governo Berlusconi è durato solo otto mesi.

Cosa è successo alla classe politica con il tramonto della Repubblica dei partiti?

Dopo la fine dei partiti storici a destra è nato un partito proprietario, basato sulla personalità di Berlusconi, che ha optato per una selezione della classe dirigente su base aziendale. Dall’altra i partiti nati dalle ceneri del Pc e della Dc non sono mai riusciti a dar vita a una formazione democratico-progressista che fosse unificante nei volti e nei valori. Tanti leader, uno contro l’altro, ognuno pronto a far durare il meno possibile le figure emergenti. Fu il caso di Romano Prodi, che dopo aver battuto due volte Berlusconi è stato lasciato solo per due volte.

Nel libro una vignetta di Giannelli fotografa con grande efficacia le faide interne alla sinistra italiana…

Giannelli lo spiega meglio di tante pagine (ride, ndr). C’è una vignetta in cui tutti i leader del centro sinistra sono fotografati frontalmente, abbracciati. Visti da dietro, ognuno ha in mano una pistola, un pugnale, un fucile, un cappio e si prepara al fuoco amico.

Gentiloni è il nome giusto per ricomporre i cocci della sinistra italiana?

Gentiloni è il risultato di un Partito democratico pesantemente colpito dallo stress cui l’ha sottoposto Renzi: una rottamazione che ha fatto fuori una dopo l’altra tutte le sue figure storiche. Il partito ha perso punti con i sindacati e le associazioni, ha messo in crisi i fondamenti ideologici e politici su cui si fondava il vecchio centrosinistra. Dopo un elettroshock come questo, Gentiloni appare come una persona più rassicurante, risponde a un bisogno di pace e ricomposizione delle fratture. È un uomo che ha dimostrato di saper unire e fare alcune cose utili, ma è troppo presto per capire se riuscirà a fare il leader del centrosinistra.

Se il nostro è un “Paese senza leader”, perché anche questa campagna elettorale è costruita tanto sui volti, poco sui programmi?

I partiti sono ormai diventati partiti personali, Forza Italia è stata l’avanguardia di questo modo di vedere la politica. Tante personalità si intestano oggi una frazione del sistema politico, ma un leader non è solo un nome messo ad etichetta di un partito, un leader è una persona che ha una visione, un progetto, ha chiare le tappe per realizzarlo e riesce a mettersi in sintonia con l’elettorato per convincerlo che si tratta della cosa giusta per il proprio Paese. Non vedo in giro personalità di questo calibro.

A questa dinamica sfugge l’elettorato Cinque Stelle, che ha dimostrato a più riprese, come alle elezioni comunali della capitale, di esser pronto a votare il Movimento a prescindere dalla notorietà ed esperienza del candidato.

Il Movimento Cinque Stelle incarna il populismo allo stato puro, non ha preferenze ideologiche di destra o sinistra, ci sono solo gli esclusi contro l’establishment. I pentastellati arrivano perfino ad affermare l’esaltazione del non-leader: uno vale uno, i capi sono solo i portavoce del popolo. Alla fine però c’è sempre “uno più eguale degli altri”, come ne “La fattoria degli animali” di Orwell. Ci sarà anche la democrazia della rete, ma tutte le decisioni sono in mano a un comitato molto ristretto, formato prima da Beppe Grillo e Casaleggio padre, ora dal figlio e da Di Maio, che è stato nominato capo politico del movimento senza avere alle spalle una leadership conquistata sul campo.

Silvio Berlusconi è ancora una volta tornato dominus del centrodestra. Negli ultimi anni, uno ad uno, i suoi “delfini” si sono spiaggiati e non c’è oggi un candidato alla leadership. Secondo lei Forza Italia sopravviverà al Cavaliere?

Berlusconi è stato sicuramente un leader per il suo rapporto con gli elettori, la capacità di formare un partito inesistente e farlo affermare sulla scena politica per venticinque anni. A mio parere il partito finirà quando lui smetterà di fare politica: non vedo radici, né la capacità di portare avanti un progetto. Quando lui farà un passo indietro il centrodestra dovrà fare una traversata nel deserto. Così d’altronde Berlusconi ha inteso la sua avventura politica: non ha mai davvero concepito delfini, che peraltro funzionano solo nelle monarchie e nemmeno tanto bene.

Nessuno, neanche Salvini, riuscirà a prendere il timone del centrodestra?

Salvini sta aspettando, pensa di poter inglobare nella sua Lega nazionale anche un pezzo importante di Forza Italia, ma dubito che questo sia possibile per le caratteristiche dell’elettorato e della dirigenza leghista. Nel centrodestra non c’è una nuova leadership, ma un’inedita contesa per la supremazia dopo due decenni in cui FI è stato il partito di riferimento. Berlusconi, alla soglia degli 82 anni, giocherà la sua ultima stagione da leader. Non vedo figure emergenti che possano dare continuazione alla sua esperienza politica.

Per settimane si è tuonato contro gli “inciuci” post-voto, oggi sono rimasti in pochi a farlo. Un governo di larghe intese, secondo i sondaggi più di una semplice ipotesi, avrebbe la forza di farsi sentire in Europa e fare le riforme senza soccombere ai venti incrociati?

Per come sono state concepite le larghe intese in Italia mi pare molto difficile. I sondaggi parlano chiaro: sarà molto complicato fare grandi coalizioni. Ho intitolato l’ultimo capitolo del libro “Il coraggio della responsabilità”. Il compromesso può anche essere un’arte nobile, quando si attraversa un periodo complicato e serve a gestire una transizione. In Paesi come la Germania ci sono partner ben definiti, programmi da rispettare, e un’intesa comune cui tutti danno seguito senza metterla in discussione il giorno dopo. Se così accadrà probabilmente riusciremo ad avere un ruolo in Europa e saremo in grado di tutelare gli interessi del Paese. Se invece la grande coalizione servirà solo a prendere tempo, rinviare le elezioni, sistemare i singoli, credo che durerà molto poco e ci precipiterà in una crisi più grave.

Che caratteristiche deve avere il prossimo presidente del Consiglio per essere un vero leader?

Deve aver chiaro dove vuole portare il Paese, quali sono le riforme indispensabili per avere un ruolo in Europa e quali i cambiamenti della legge elettorale per giocare diversamente la prossima partita. Io nel libro esprimo una preferenza molto netta per un sistema a doppio turno che garantisca nel primo la rappresentanza e nel secondo la governabilità. Qualche personalità con queste caratteristiche in giro c’è, speriamo che vengano fatte le scelte giuste.

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