I treni Italo che parlano americano, ma anche un Paese all’eterna ricerca di un giusto equilibrio tra infrastrutture efficienti, se non altro nuove, senza però sprecare denaro pubblico. E l’Europa, che non può certo starsene alla finestra mentre l’Italia cerca un rilancio nei trasporti, nelle ferrovie e nelle strade. Alberto Brandani (nella foto), presidente di Federtrasporto, l’associazione confindustriale di settore, offre un’ampia panoramica dei mali che affliggono l’Italia se il tema è quello, scottante, delle infrastrutture.
Presidente, partiamo da Italo. Il 2018 si è aperto con un’operazione industriale di peso, come non se ne vedevano da tempo. La cessione di Ntv al fondo americano Gip. La convince?
La giudico una operazione industriale che il fondo americano Gip ha attentamente soppesato ritenendola interessante. Come sicuramente ricorderà, si tratta di un fondo che ha a disposizione 50 miliardi di dollari per investimenti nel campo infrastrutturale. Non si tratta quindi di una operazione finanziaria ma di una partecipazione squisitamente industriale.
In molti si chiedono se gli americani che hanno comprato i treni Italo potranno secondo lei apportare quelle risorse che forse mancavano nell’azienda con i vecchi soci?
Non è che ad Ntv mancassero risorse in senso stretto. Vi era un progetto di quotazione in Borsa molto avanzato. Sicuramente gli americani sono stati affascinati dall’ipotesi di creazione di un network europeo e in tal senso le loro disponibilità economiche potrebbero fare la differenza. Vorrei segnalare come questa operazione dimostri la completa liberalizzazione in Italia del mercato dell’Alta velocità. Vorrei sperare che con l’approvazione del IV° pacchetto 2020, tale liberalizzazione del mercato fosse effettiva anche nel resto d’Europa.
Parliamo delle infrastrutture, provando ad allargare il ragionamento. L’Italia continua a soffrire di un enorme gap soprattutto in quelle relative ai trasporti. Ma dove sta il problema? Forse parlare di scarse risorse da parte dello Stato sarebbe riduttivo, condivide?
Ho già avuto modo di dire che dobbiamo pensare ad un piano infrastrutturale di nuove opere pubbliche per un verso e per altro grandi investimenti nella manutenzione costante e significativa, così come nell’adeguamento delle opere già in essere non escludendo una rivisitazione del codice degli appalti che ci allinei alle best practice europee in tal senso. Assoluta priorità è da accordare alle connessioni di ultimo miglio di porti, interporti, centri intermodali e aeroporti.
Non ci dimentichiamo delle ferrovie…
Certo. Va altresì ricordato come per il settore ferroviario l’allocazione delle risorse economiche abbia visto una decisa accelerazione (si pensi che il valore delle opere infrastrutturali in corso inserite nel Contratto di Programma di Rfi, di 66 miliardi di euro, è stato finanziato per circa il 50% negli ultimi tre anni) su opere prioritarie che nel loro complesso ed in maniera sinergica risolvano almeno i punti più critici del trasporto di persone e merci.
C’è però un problema di sicurezza nella rete, soprattutto in quella regionale…
La sicurezza per il sistema ferroviario è sempre stata una priorità, senza distinzione tra tipologie di linee e di trasporto. La sicurezza si basa su tre sottosistemi: quello delle regole, quello, tecnologico e quello umano. Proprio per questo sono stati fatti negli anni ingenti investimenti in tecnologie di sicurezza: basti pensare che oggi la rete italiana è l’unica in Europa ad avere il 100% di copertura con il sistema di controllo della marcia dei treni, che ha azzerato l’incidente più insidioso che è la collisione tra treni, mentre tanta tecnologia, anche di controllo remoto dell’infrastruttura e dei treni, consente diagnosi in tempo reale o in tempi brevissimi dello stato di alcune parti critiche.
Scorporare la rete, oggi gestita da Rfi, ovvero le Fs, come fatto nel Regno Unito, potrebbe essere un’idea per alzare gli standard?
Il miglioramento continuo, che si persegue per la sicurezza mediante una costante attività di analisi dei rischi e della ricerca e sviluppo di nuovi sistemi mitigativi che riducano la discrezionalità dell’uomo, ha dato frutti tangibili, con una significativa riduzione degli incidenti certificata negli anni da tutte le analisi ed i rilievi fatta dalle Agenzie di Sicurezza. E questi risultati sono stati raggiunti con l’organizzazione attuale: scorporare la rete gestita da Rfi non è quindi una necessità o una decisione che ha che fare con la sicurezza. Visti i risultati non proprio brillanti di quanto accaduto in Gran Bretagna è in corso in quel Paese un dibattito sull’opportunità di riaccorpare rete e servizi di trasporto.
Dal ferro alla gomma. Ovvero le infrastrutture viarie. Spesso Non all’altezza di un Paese del G7. Che si deve fare?
Le autorità di governo sostengono che vi sono i progetti e i conseguenti accantonamenti economici, bisogna allora domandarsi dove sia il problema. Forse dobbiamo disboscare dal punto di vista della essenzialità l’enorme intreccio burocratico che avvolge il settore. Ma al tempo stesso dobbiamo spingere per un reperimento di risorse che coinvolga l’Europa. Un’Europa che potrebbe liberare risorse per investire in infrastrutture, ricerca e innovazione e formazione fino a 93 miliardi di euro nel prossimo quinquennio.