Il Carnegie Endowment for International Peace è stato tra i primi think tank ad aver dedicato uno spazio di analisi comparativa sulle prossime elezioni italiane del quattro marzo. Il think tank di Washington DC ha passato in rassegna le interpretazioni di esperti, italiani e non, che hanno risposto alle domande di Judy Dempsey, senior fellow di Carnegie Europe, sulle prospettive politiche e istituzionali del bel Paese.
All’appello hanno risposto in molti e con interessanti spunti di riflessioni sulla evoluzione delle dinamiche nazionali ed internazionali che caratterizzano questa tornata elettorale. L’interrogativo, rivolto a tutti, è stato: “L’Italia ha veramente perso la sua strada?”
Tra le voci più autorevoli Marta Dassù, direttrice della rivista Aspenia, ha osservato: “L’Italia non ha perso la sua strada, sta ritornando alla sua tradizione storica. Per cinquant’anni, le elezioni non hanno prodotto chiare maggioranze. Con la nuova legge elettorale si ripeterà oggi quello che è accaduto in passato. Tre punti sembrano chiari: quello dell’astensione sarà il primo partito; il Movimento Cinque Stelle, una forza populista che non è né di sinistra né di destra sarà il secondo partito, pur non avendo i numeri per formare un governo; Silvio Berlusconi, che non può essere formalmente candidato, detiene la chiave per il prossimo governo di coalizione. Sembra paradossale? Sì, ma non c’è bisogno di andare nel panico. A prescindere dallo scenario – che sia una coalizione tra Partito Democratico e Forza Italia in stile tedesco o una coalizione di centrodestra con la Lega Nord o un governo del Presidente guidato nuovamente da Paolo Gentiloni – la politica europea dell’Italia cambierà solo in modo marginale. La Lega Nord e il Movimento Cinque Stelle hanno entrambi accantonato l’idea di un referendum sull’euro. Naturalmente, una coalizione di centrodestra sarebbe più fredda verso l’Europa rispetto al Partito Democratico di Matteo Renzi. Ma la vera divisione si avrà in materia di immigrazione e non sull’euro. La terza economia dell’area euro farà in modo che non si cada in uno scenario di tipo greco. Tutte le promesse elettorali sulla spesa in deficit, in un momento di fragile ripresa economica, sono solo questo: promesse. Nel caso improbabile che il centrodestra ottenga i numeri per governare da solo, assisteremmo probabilmente a un’inclinazione maggiore verso Putin. Ma anche in questo caso, di nuovo, senza esagerare. L’Italia, nella sua migliore tradizione, è avversa al rischio”.
Federiga Bindi, senior fellow alla School of Advanced International Studies della Johns Hopkins University, ha descritto con dovizia di particolari la complessità dello scenario politico che accompagna la tornata elettorale: “No, l’Italia non ha perso la sua via. Si dice spesso che l’Italia sia sull’orlo del collasso, eppure è ancora qui ed è uno dei principali attori nell’Ue così come nelle relazioni internazionali. Anche durante la Guerra Fredda, quando i governi spesso duravano solo pochi mesi, l’Italia ha sempre tenuto il passo, grazie alla forza del Paese, alla sua creatività e a un piccolo ma essenziale manipolo di ministri a succedersi. È vero, l’instabilità del governo, la mancanza di coordinamento e l’incapacità di produrre strategie di lungo periodo fanno pagare pegno e spesso indeboliscono il Paese. L’ultimo esempio: l’incapacità di assicurare il trasferimento dell’Agenzia Eeuropea per i medicinali (Ema) a Milano, un’offerta che l’Italia avrebbe perso nonostante l’eccellenza della proposta della città e la sua prontezza a ospitare. E, naturalmente, le previsioni delle prossime elezioni fanno pensare che il “migliore sconfitto” – Silvio Berlusconi – possa effettivamente guidare un governo di coalizione qualora non vi fossero chiari vincitori (a causa della nuova legge elettorale) e ciò crea stupore tra la gente. Ma la gente è anche stupita per i mesi necessari alla Germania per formare un nuovo governo, per non parlare delle politiche dirompenti del presidente Donald Trump. È allora il mondo ad aver perso la sua strada?”
Sulla stessa linea si pone l’interpretazione offerta al Carnegie da Gianni Riotta, membro del Council on Foreign Relations, che ha risposto alla domanda su un eventuale smarrimento dell’Italia con un excursus storico a supporto della sua tesi: “Immagino di sì. Almeno dal 476 dopo Cristo, quando Romolo Augusto – l’ultimo sfortunato sovrano dell’impero romano d’Occidente – fu deposto da Odoacre. Dante lamentava la rovina dell’Italia e lo stesso faceva Petrarca. Machiavelli cercò invano di offrire un progetto per la rinascita nazionale. I poeti del romanticismo, Foscolo e Leopardi, piangevano per l’amata, perduta patria. Mussolini disse che ‘governare gli italiani non è difficile, è inutile’, prima di rovinare il Paese. L’identità nazionale italiana non è politica, è culturale. Gli italiani hanno difficoltà a gestire la propria storia. Dopo la Seconda guerra mondiale, l’Europa è stata lo scudo contro i nostri problemi per poi divenire improvvisamente la loro fonte. L’Italia rimane una terra di straordinaria innovazione, immersa in un perenne deserto di nostalgia, depressione e pessimismo. Berlusconi è stato il pifferaio magico, giocando sul suo ottimismo per vent’anni senza stimolare le riforme. Prodi e Renzi hanno cercato di innovare, per essere poi accoltellati dai loro stessi alleati. Salvini suscita spaventosi fantasmi di nazionalismo e odio. Grillo è il nuovo campione del vecchio Paese arretrato. Il Fronte dell’Uomo Qualunque, un movimento populista nato nei primi anni ’40 del Novecento, è stato un prototipo del Movimento Cinque Stelle di proprietà di Grillo, costruito sulla narrativa secondo cui i politici siano corrotti, gli intellettuali siano soldatini e l’uomo comune sappia fare meglio. La generazione dei miei genitori respinse il Fronte dell’Uomo Qualunque e salvò l’Italia, lanciando la Dolce Vita. La generazione dei miei figli respingerà il Movimento Cinque Stelle? Questa è la scommessa per il 4 marzo. L’Italia non ha perso la sua strada; ne sta cercando una da secoli – ed è per questo che il Paese rimane così meraviglioso, fragile e affascinante”.
Nathalie Tocci, direttore dello Iai, commenta: “A differenza di quanto accaduto nel 2017, quando una sequenza di elezioni nazionali ha messo in discussione l’esistenza dell’Unione, la tornata elettorale del mese prossimo rischia di passare in gran parte inosservata. Con Macron al timone in Francia e gli ultimi ritocchi alla grande coalizione in Germania, l’umore è speranzoso per un rilancio del progetto europeo. L’Italia sarà il nuovo guastafeste in Europa? Le prospettive politiche non sono allettanti. Con la sola eccezione del partito Più Europa di Emma Bonino, nessun partito italiano è genuinamente europeo. L’euroscetticismo italiano ha forme diverse. Si va dall’estremo euroscetticismo xenofobo e sovranista della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle alle ambigue posizioni euroscettiche di Forza Italia di Berlusconi e, ahimè, al Partito Democratico di Renzi, che si appella a una immaginaria “altra Europa”. Due terzi degli italiani rimangono favorevoli all’Ue e all’euro; la classe politica è orribilmente meno lungimirante. Le speculazioni sul risultato elettorale vanno dal male (una grande coalizione tra Renzi e Berlusconi) al peggio (una coalizione di destra) al disastro (un’alleanza diabolica tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega Nord). L’Italia farà precipitare l’Ue in una nuova crisi? La complessità e la disfunzionalità delle istituzioni italiane conterrebbero il danno fatto da qualsiasi governo: il lato positivo dell’immobilismo italiano. Molto più probabile è che dal 5 marzo in poi, l’Italia si allontani ulteriormente dal rilancio dell’Ue a spese degli italiani e degli europei nel loro insieme”.