L’Europa può essere la soluzione, non il freno, per far ripartire l’economia italiana. La relazione con gli Stati Uniti rappresenta un punto di riferimento fermo anche se sulla Russia ci sono idee diverse. Giancarlo Giorgetti, vicesegretario federale della Lega, è il gemello diverso di Matteo Salvini. Insieme al giovane leader, è protagonista di quel cambio di pelle che ha portato il Carroccio ad uscire dalla crisi di consensi dopo gli scandali che avevano investito Bossi ed i suoi e ad essere oggi ben oltre il 10%. A Formiche.net, lo storico (ed apprezzatissimo) ex presidente della commissione Bilancio spiega la ricetta della Lega per il governo del Paese.
Giorgetti, lei sembra sicuro di un governo di centrodestra, ma il presidente della Commissione europea Juncker è convinto che in Italia ci sarà un governo “non operativo” e paventa un terremoto dei mercati.
Avremo piacere di dargli dispiacere. Un governo l’Italia ce l’avrà, e sarà un governo con una solida maggioranza di centrodestra, con cui lui dovrà fare i conti.
Partiamo dal cuore del vostro programma economico: la flat tax. Finanziarla con il taglio di deduzioni e detrazioni non rischia di svantaggiare le classi di reddito più basse?
È vero, vanno via le detrazioni familiari ma per ogni figlio a carico si aggiungono 5.000 euro di esenzione, che può arrivare fino a 30-35.000 euro. Questo scalone garantisce la progressività e dunque la costituzionalità dell’impianto. La nuova esenzione dunque non danneggia nessuno, anzi tutela di più gli incapienti. È un sistema più giusto rispetto a quello attuale: oggi in certi casi la tassazione raggiunge un picco del 65-70%, che, francamente, ritengo contrario al buonsenso
Perché l’Italia ha bisogno della flat tax?
Perché è una rivoluzione culturale. Con la flat tax noi cerchiamo di incentivare il lavoro, la produzione, l’investimento. In un Paese dove tutti discutono su come redistribuire le risorse, anche quando non ci sono, noi vogliamo invece concentrarci su come produrre nuova ricchezza, da poter poi redistribuire. È un approccio simile a quello americano: anche in Italia abbiamo bisogno di gente che si metta in gioco e sia incentivata nel fare impresa. È una scommessa importante, forse una cura shock. Ma se non ci liberiamo dalla logica dei piccoli passi pian piano smetteremo di crescere.
L’idea originaria della Lega era una flat tax al 15%, ma a quanto pare l’aliquota che proporrà il centrodestra non scenderà sotto il 20%. Si pone quindi un problema sulla lotta all’evasione: siete sicuri che, a queste cifre, chi oggi decide di evadere il fisco domani pagherà le tasse?
Sì, lo ha dimostrato un’altra nostra scommessa andata a buon fine: la cedolare secca sui diritti immobiliari, un concetto non lontano dalla flat-tax. L’introduzione di quella misura ha permesso di portare alla luce tante aree grigie e ha ridotto l’evasione. La sua applicazione sui redditi immobiliari ha infatti prodotto un aumento del gettito: è la prova che queste misure di semplificazione inducono tante persone a venire allo scoperto. Certo, se l’aliquota della flat-tax supererà il 20% c’è il rischio che diventi meno competitiva rispetto ad altre misure già esistenti.
Un settore che produce ricchezza è storicamente quello delle infrastrutture. Oggi la gran parte delle aziende italiane sono in crisi ad eccezione di quelle che sono riuscite a conquistare spazi di mercato all’estero. Come pensa si possa riuscire a riavviare il circolo virtuoso degli investimenti nel nostro Paese?
Sembrerà paradossale ma il tema degli investimenti italiani si può affrontare efficacemente solo in una dimensione europea. Condividiamo già la stessa moneta, ma non abbiamo un debito pubblico comune. Più di tenere l’euro mi preoccuperei di introdurre gli eurobond, di cui nessuno parla più. La moneta unica ha il vantaggio di poter sostenere un debito comune a valori di mercato e costi molto bassi. Perché non approfittarne? Per fare grandi investimenti nelle infrastrutture, come Trump sta iniziando a fare negli Stati Uniti, non vedo altra strada. In caso contrario, il rischio è quello di perdere competitività e di restare fermi nel secolo scorso. Certo, quella del debito europeo non è un’idea che la Germania digerirebbe facilmente: accusano noi italiani di non saper gestire neanche i fondi delle aree depresse. Per questo credo che sulle grandi infrastrutture del Paese una politica gestita con criteri “teutonici” non farebbe male.
Il Piano Juncker può essere un punto di partenza?
Il Piano Juncker in Europa è vissuto come qualcosa di burocratico, concordato nei palazzi di Bruxelles. È partito come un fiume impetuoso dalla montagna, ma rischia di arrivare debole alla foce sul mare. L’idea originaria era buona, il risultato concreto è alquanto deludente. Niente a che vedere con il piano presentato da Donald Trump. Negli Usa vediamo investimenti veri e con immediato impatto sull’economia. Da noi prevale la burocrazia con il risultato che la forbice fra Stati Uniti ed Europa si allarga.
Un settore che invece vede le aziende italiane primeggiare in Europa è la Difesa. Il Parlamento Europeo ha appena approvato un programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (Edidp). Voi al governo cosa farete?
L’industria della Difesa è il vero presidio tecnologico avanzato in Italia, e necessita di una politica estera intelligente e “virile”, senza la quale non può sopravvivere. Non si può immaginare una politica industriale senza una coerenza di fondo fra politica di Difesa e politica estera.
Tra le decisioni varate dal centrodestra quando era al governo, vi è quella di fare di Cdp una leva per la crescita.
L’idea originaria di Tremonti era eccellente, e fu una svolta a cui io stesso ho contribuito attivamente. Nel tempo ha però preso una piega, per capirci, prima da Iri, poi da Efim. Mi sembra che la mission di Cdp, se non si è persa, si è comunque indebolita. Lo stesso accadde con una delle più grandi intuizioni del primo governo Berlusconi: la legge obiettivo. Quando gli obiettivi cominciarono a moltiplicarsi a dismisura il senso stesso della riforma è andato perdendosi.
Se dunque il 4 marzo il centrodestra dovesse arrivare al governo, ci sarà una revisione degli obiettivi di Cdp?
Secondo me si, ma questa è l’opinione di un minuscolo partito del centrodestra che ha grandi ambizioni (ride, ndr). Ovviamente ci confronteremo con gli altri, ma è evidente che, per tanti motivi, la Cassa Depositi e Prestiti è diventata cruciale per la crescita economica del Paese.
Ancora su investimenti ed economia reale, di cui si parla poco in campagna elettorale: la Lega che idea si è fatta del piano per realizzare la banda larga in Italia?
Che è uno di quegli investimenti strutturali su cui bisognerebbe pigiare l’acceleratore senza avere paura di semafori e stop. È una chance che non si può ignorare. Anche in questo caso purtroppo le buone intenzioni si sono perse in mille nullaosta e veti, e solo una parte del progetto è stata implementata concretamente.
Un eventuale scorporo da parte di Tim, o uno scenario di fusione con Openfiber è fantascienza?
Non è fantascienza. La Lega però ha a cuore la difesa dell’interesse nazionale, e ha un’idea ben chiara su chi debba controllare le reti, anche a costo di esercitare il diritto di reciprocità.
Qualche giorno fa Di Maio ha criticato la scelta del governo Renzi di fare entrare Pechino nell’azionariato delle nostre infrastrutture strategiche (Terna e Snam). Cosa pensa degli investimenti stranieri negli asset strategici?
Ben vengano gli investimenti dei cinesi in Italia, purché creino ricchezza nel nostro Paese. Se però i cinesi vengono da noi con la logica della spoliazione, come hanno fatto altri, allora non sono d’accordo. Dobbiamo fare in modo che in questo Paese arrivino investimenti produttivi, non chi vuole prendere un marchio o una tecnologia e portarli all’estero. Purtroppo dobbiamo anche riconoscere i limiti del nostro capitalismo. Le nostre risorse finanziarie, quando ci sono, spesso restano parcheggiate nei titoli di Stato e nelle banche.
Veniamo alla politica estera. Uno dei temi più controversi è la postura che il nuovo governo dovrà tenere rispetto alla Russia, la politica delle sanzioni, la Nato.
Noi su questo abbiamo preso una posizione chiara fin dall’inizio, anche per difendere alcuni settori dell’economia italiana: mantenere le sanzioni all’infinito e così come sono oggi ci sembra insensato. Sono misure che non hanno avuto e non avranno alcun effetto. Per risolvere il conflitto in Ucraina serve piuttosto uno scatto diplomatico. Il paradosso è che le sanzioni rischiano di arrecare svantaggi maggiori all’Italia portando guadagno a chi in Europa le ha promosse.
Conferma quindi una Lega filo-Putin?
Francamente credo che sui rapporti fra la Lega e la Russia ci sia una letteratura ridicola. Il nostro programma riconferma con chiarezza il rapporto privilegiato con gli Stati Uniti. Questo non impedisce di dissentire da chi vorrebbe una Russia messa in un angolo e tenuta a bada con le maniere forti. Tanto più che in realtà Mosca si muove in modo disinvolto ed efficace nei più diversi quadranti internazionali.
Torniamo alla politica interna. Lei è nella Lega da sempre: che effetto le fa vedere un così grande successo nel centro-sud?
Devo dire che sono galvanizzato da quel che vedo in giro. Credo semplicemente che la Lega abbia dato un’offerta politica a una grande domanda che non trovava interlocutori. Il travaglio del centrodestra ha lasciato, soprattutto sul tema dell’immigrazione e della sicurezza, un vuoto nell’elettorato che Salvini è riuscito a colmare. Fare politica al Sud è particolare, c’è bisogno di protagonisti che facciano politica in modo onesto.
Cosa risponde a chi, in Italia e all’estero, guarda senza distinzioni a Salvini, Le Pen e Grillo come populisti?
Noi non siamo né la Le Pen né Grillo: da trent’anni governiamo numerosi Comuni, le Regioni italiane più sviluppate ed europee, e lo facciamo in modo più che dignitoso. Non siamo gente che non ha mai governato e che non sa cosa sia la responsabilità politica. Questo ci diversifica da Grillo in Italia, e da tanti movimenti populisti in Europa.