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La Cina è (meno) vicina. Al via l’assemblea della svolta del partito comunista

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I delegati nazionali della Conferenza Consultiva Politica del Popolo Cinese sono arrivati nei giorni scorsi a Pechino per prendere parte alla riunione annuale che partirà oggi, 3 marzo, e durerà una decina di giorni; lunedì 5 marzo, invece, inizierà la sua plenaria dell’Assemblea Nazionale del Popolo, ossia il Parlamento cinese, di cui la Conferenza è l’organo consultivo.

La “doppia sessione” dei due rami parlamentari (che in cinese prende il nome di “lianghui“) porterà a termine il processo di ricambio della classe dirigente cinese iniziato a ottobre scorso, quando si è tenuto il diciannovesimo Congresso del Partito Comunista Cinese; quello in cui il presidente Xi Jinping è stato riconfermato il leader del partito, ma soprattutto quello da cui la scalata nella storia vivente di Xi è iniziata a concretizzarsi  – dopo il congresso, infatti, nel giro di pochi mesi, il suo pensiero politico del presidente è stato incluso tra quello dei grandi del passato, impresso nero su bianco sulla Costituzione; carta che dovrebbe anche essere modificata per permettere allo stesso Xi di bypassare il precedente vincolo del doppio mandato, e (almeno teoricamente) governare a vita.

Sarà proprio l’Assemblea a ratificare nei prossimi giorni queste e altre proposte finora avanzata dal Comitato Centrale del Partito (il Pcc, il Partito comunista cinese, unico attore politico in Cina); la mossa con cui Xi ha acquisito potere praticamente a termine indefinito è stata, sebbene attesa, uno degli elementi che ha guidato le notizie politiche ed economiche globali nelle ultime due settimane, anche perché mette nero su bianco le condizioni democratiche nel paese, e segna un nuovo passaggio per chi critica le ambiguità della Cina, che naviga da protagonista nel libero mercato mondiale, ma ha un sistema di potere interno simil-imperiale; e dunque ha costruito un presupposto per chi in Occidente è pronto a contrastare il potere di Pechino con ogni mezzo.

Tra le analisi, invece: l’Economist di questa settimana dedica la copertina a Xi, e in una sola riga spiega che l’abolizione del vincolo di mandato trasforma la Cina “from autocracy into dictatorship“, da un democrazia autocratica a una dittatura. Ancora: Richarda Haass, direttore del prestigiosissimo think tank Council on Foreign Relations di New York, ha scritto in un suo op-ed su Axios che il prolungamento a vita del potere di Xi si inquadra in un trend globale che dimostra che “non solo la democrazia, ma lo stato di diritto e il rispetto per la società civile e la libertà individuale sono in declino attorno al mondo”, e una ragione per cui questo accade “è che gli Stati Uniti non riescono a dare l’esempio che molti desiderano emulare”, dato che Washington ha deciso di “rimuovere la promozione della democrazia e dei diritti dagli obiettivi di politica estera”.

Secondo l’esperto Bill Bishop, autore della newsletter “Sinocism” (riferimento internazionale per gli affari cinesi), il rafforzamento di Xi Jinping significherà che il mondo dovrà “imparare a trattare con il leader cinese più potente degli ultimi decenni. Contemporaneamente anche la Cina è più forte che mai, pronta a diventarlo ancora di più economicamente, militarmente e culturalmente, sulla strada della sua Great Rejuvenation”.

Secondo indiscrezioni diffuse da alcuni media di Hong Kong – e dunque non si sa quanto credibili fino in fondo – pare che la notizia dell’abolizione del vincolo era considerata così importante da Pechino (e in effetti lo è, ndr) al punto che non sarebbe dovuta uscire così repentinamente come l’agenzia stampa statale Xinhua l’ha diffusa; ossia come una Breaking News, per altro in lingua inglese e dunque accessibile a tutto il mondo. Forse si aspettava proprio la parola definitiva che l’Assemblea darà nei prossimi giorni – la decisione è scontata, ma comunque è un passaggio obbligato anche per non innervosire i notabili del potere – per dare in pasto agli affari internazionali una cosa così importante.

Insieme alla questione del mandato, l’Assemblea dovrà anche ratificare altre modifiche costituzionale altrettanto importanti e sempre nell’ottica del rafforzamento del potere di Xi: tra queste l’introduzione di un giuramento di fedeltà alla Costituzione da parte di tutti i funzionari statali al momento di assumere l’incarico (compresi i militari, a cui Xi ha personalmente chiesto un giuramento di sangue verso la patria, durante un comizio pubblico che è stato diffuso in migliaia di caserme nel paese); l’inserimento nella Costituzione di una commissione di supervisione tra gli organi dello Stato (nell’ambito dei provvedimenti anti-corruzione con cui allietare il consenso), e l’aggiunta di una frase all’interno della Costituzione per enfatizzare il ruolo della leadership del partito come “la caratteristica distintiva del socialismo con caratteristiche cinesi”; e appunto l’introduzione della “New Era”, la dottrina di Xi, nella Carta.

Dal lianghui usciranno anche i nomi dei nuovi ministri del Consiglio di Stato, ossia il governo, assieme a quelli dei presidenti di Conferenza e Assemblea; spiega l’Agi che coloro che adesso presiedono i due rami hanno superato i limiti di età previsti per il mantenimento dell’incarico, i 67 anni, e non figurano più nel Comitato Permanente del Politiburo del Pcc, il vertice del partito rinnovatosi a ottobre scorso.

 

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