La trattativa politica iniziata il 4 marzo tra le due forze vincenti ma non maggioritarie e quella perdente ma non irrilevante sta ormai maturando, e venerdì misurerà il risultato in occasione della elezione dei presidenti di Camera e Senato.
È ovvio, e tutti lo hanno ufficialmente ribadito, che questa prima stazione non implica la seconda, vale a dire la formazione del futuro governo, anche se è altrettanto logico che l’una sarà la prosecuzione dell’altra.
Nei commenti sui giornali di oggi si leggono scenari strani, spesso analisi intelligenti ma poco calzanti: da chi vede in un accordo tra Centrodestra e M5S il superamento della dualità tradizionale destra-sinistra e chi auspica addirittura, come fa Giuliano Ferrara sul Foglio, un’alleanza commissariata, cioè gestita, da una figura di garanzia di area progressista.
Sono sfondi suggestivi ma o poco conciliabili con la politologia o poco realistici dal punto di vista concreto.
Intanto, il centrodestra a guida Lega non costituisce di per sé alcun superamento della polarità classica, anche perché la destra, che non è il centro, non è mai stata caratterizzata da una cultura liberale. Anzi, ripercorrendo bene la storia di tutti i Paesi si nota subito quanto il movimento guidato da Matteo Salvini sia esattamente in continuità con le idee politiche che da sempre hanno ispirato l’alternativa sociale e comunitaria della destra allo statalismo di sinistra. Semmai la peculiarità dei liberali è di condividere la stessa finalità sulla base di un paradigma individualista. Così oggi la coalizione di centrodestra è una classica aggregazione liberal-conservatrice, nella quale istanze comunitarie e sociali di tipo nazionale e popolare sono presupposte per permettere una maggiore libertà di tipo economico delle classi medie. Non è un caso che tutto il settentrione d’Italia sia amministrato insieme dal centrodestra, in nome del coagulo comunità-libertà. La distinzione concertata di questa visione riposa sul progetto di riduzione fiscale e sul primato di sicurezza e gestione dell’immigrazione, confermata anche dal dibattito post-elettorale interno al Pd, nel quale sono emerse tante posizioni ma sempre all’insegna della garanzia di continuità con le politiche pubbliche filo europeiste (Gentiloni) o di industrializzazione politica (Calenda). Quest’ultime sì rappresentano modelli importanti, ma incompatibili con il centrodestra di ieri, di oggi e di domani.
Il caso M5S è invece più complesso, sulla cui valutazione però si misura la possibilità di un accordo di Governo dopo le elezioni per le cariche istituzionali, quasi certo oramai, con il centrodestra.
Il M5S è rappresentativo del Meridione d’Italia, e ad esso ha promesso una politica statuale forte definita dal reddito di cittadinanza, molto difficile da conciliare con Fi, Lega e FdI. D’altronde, la compagine politica guidata da Luigi Di Maio ha tuttavia su Europa e sperperi pubblici una posizione politica ampiamente condivisa e condivisibile dal Centrodestra, se non altro perché opposta al tassa e spendi tipico del Pd.
Uscendo da schemi precostituiti astratti, possiamo dire che oggi una maggioranza centrodestra-M5S garantirebbe due finalità importanti: la prima è di avere un governo politico rappresentativo di tutto il corpo elettorale. Si tratterebbe cioè di un vero e proprio Patto per l’Italia, una nazione non solo elettoralmente ma anche economicamente e socialmente spaccata in due. In secondo luogo, tale collaborazione permetterebbe di calibrare bene le esigenze di riduzione fiscale reclamate dal nord con una certa assistenza economica indispensabile per il Sud.
La drasticità della flat tax dovrebbe, insomma, essere attenuata, tanto quanto il margine del reddito di cittadinanza. Superato in una mediazione di questo tipo il nodo programma, ci troveremmo dinnanzi ad una solida possibilità di esecutivo di Legislatura, in grado di far procedere il Paese in avanti, con una rappresentatività alta di consenso, utile per la ridefinizione dei nostri rapporti internazionali con l’Europa e con i grandi “imperi di Oriente”, garantendo peraltro la coesione geopolitica nazionale all’interno.
Un’analisi audace la mia, ma certamente più verosimile di sperimentalismi astrusi e inconcludenti o di nuovi ricorsi fallimentari alle urne, o, peggio ancora, pateracchi improbabili tra destra e sinistra.
La presidenza della Camera al M5S, la presidenza del Senato a FI e il governo di coalizione alla Lega. Il resto non conta: e se dovesse valere, finiremo di certo a votare prima dell’estate, avendo, più o meno, uno stesso risultato politico.