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Il Sud non è solo deserto industriale e disoccupazione

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Basta. Ora basta con una raffigurazione dell’Italia meridionale segnata soltanto da disoccupazione devastante, desertificazione industriale, povertà alle stelle e lavoro nero, come vorrebbero far credere alcuni osservatori analizzando l’eclatante risultato elettorale del Movimento Cinque Stelle nelle sue regioni. Mi riferisco in particolare all’articolo di Lucia Annunziata su la Stampa di oggi 8 marzo che, andando a Pomigliano d’Arco, ricorda i suoi trascorsi di studentessa universitaria che vi si recava a studiare la classe operaia del grande stabilimento della Fiat, affermando invece che oggi quel sito, come tante altre fabbriche diffuse nei territori meridionali, è molto ridotto, pur essendo stato rilanciato da Marchionne. Così scrivendo, vorrebbe poi far credere che tutto il Sud sia soltanto un formicolio di piccole attività economiche in nero che danno, quando ci riescono, modesti redditi di sopravvivenza a chi le pratichi.

Ed invece tanto per cominciare bisogna sapere che nel Sud sono insediate le tre più grandi fabbriche d’Italia per numero di addetti diretti, ovvero l’Ilva di Taranto con i suoi 10.980 occupati, la FCA a S.Nicola di Melfi (Pz) con le sue 7.447 persone impiegate, e la Sevel in Val di Sangro con 6.118 addetti, ove si produce il veicolo commerciale leggero Ducato: tre fabbriche circondate da ramificati sistemi di attività indotte con altre migliaia di persone impiegatevi.

Ma nel Sud operano altri grandi impianti di componentistica per l’automotive – fra i quali 4 fabbriche di motoristica sempre del gruppo FCA, cui si affiancano imponenti stabilimenti di Bosch, Getrag, Bridgestone, Skf, Dayco, Graziano Trasmissioni, Adler group, etc. – dell’aerospazio – e proprio a Pomigliano d’Arco è in esercizio un grande stabilimento della Leonardo Divisione Aerostrutture con oltre 2.500 fra operai, tecnici e dirigenti – dell’industria petrolchimica, della farmaceutica, dell’agroalimentare, dell’Ict (si pensi all’Etna Valley a Catania con il sito della STMIcroelectronics e i suoi 3.600 occupati), della navalmeccanica e del Tac. Il Mezzogiorno ospita inoltre un consistente numero di centrali a turbogas in Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e una elevatissima capacità di generazione elettrica da fonte eolica e fotovoltaica, mentre a Brindisi è in esercizio la centrale a carbone da 2.640 MW dell’Enel.

In Basilicata poi sono in produzione i più grandi pozzi petroliferi on shore d’Europa – che vedono impegnati big player del settore come Eni, Shell, Total, Mitsui e un reticolo di piccole e medie imprese dell’indotto – mentre in Abruzzo, in Puglia, in Campania e in Sicilia operano grandi impianti per la produzione di vetri per auto come la Pilkington a S.Salvo (CH), e di contenitori in vetro cavo come la multinazionale statunitense O-I Owens Illinois a Bari, alle porte di Napoli e in Sicilia.

Napoli e Brindisi inoltre sono i due maggiori poli aeronautici dell’Italia meridionale, mentre a Foggia e Grottaglie (Ta) si costruiscono in due siti – rispettivamente con 900 e 1.300 addetti diretti – i piani di coda orizzontali e due sezioni di carlinga in fibre di carbonio del 787 Dreamliner della Boeing.

Il maggior Arsenale della Marina Militare ha sede a Taranto, mentre bisogna ricordare che nel Sud sono presenti anche grandi fabbriche del settore ferroviario a Napoli, Reggio Calabria, Caserta, Foggia, Monopoli (Ba) ove si costruiscono treni (Hitachi Rail Italia e Firema), si realizzano manutenzioni di convogli (a Foggia), e si costruiscono treni diagnostici a tecnologia avanzatissima (Mer.Mec) esportati in tutto il mondo.

E come dimenticare le fabbriche di prodotti cartotecnici, come ad esempio la Fater di Pescara (pannolini per bambini) con i suoi 2.088 addetti, la Seda della famiglia D’Amato, la cartiera di Foggia del Poligrafico dello Stato, la cartiera di Avigliano della Lucart in Basilicata, le fabbriche di contenitori in cartone diffuse in varie regioni ?

Nel comparto dell’industria agroalimentare poi sono presenti molti dei maggiori gruppi italiani ed esteri, dalla Barilla alla Ferrero, dalla Birra Peroni-Asashi alla Heineken, dalla Princes-Mitsubishi alla Coca-Cola, dalla Amadori alla Divella, dalla De Cecco al Gruppo Casillo, solo per citarne alcuni che sono affiancati da centinaia di Pmi del settore guidate da imprenditori locali variamente diffuse in tutte le regioni meridionali.

E mi fermo qui, potendo invece continuare ancora a lungo, se del caso anche in un confronto pubblico all’americana con chi affermasse il contrario sul Mezzogiorno, senza in realtà conoscerlo palmo a palmo nelle sue realtà industriali.

Negli ultimi sono stati condotti accurati studi su questi sistemi manifatturieri non solo da chi scrive, ma anche dalla SRM – società di ricerca del Banco di Napoli/Intesa San Paolo. Chi volesse in proposito le relative indicazioni bibliografiche non ha che da chiederle.

Allora, per cortesia, basta con le raffigurazioni di comodo: e chi volesse continuare a rappresentare solo un “certo” Mezzogiorno, deve sapere tuttavia che ne esiste un altro molto più dinamico, competitivo, ad alta tecnologia che produce, compete, esporta, rischia, occupa e che è chiamato a dare speranze concrete anche all’altro Sud.

 

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