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L’Europa in costruzione perde pezzi

Europa

La Gran Bretagna sta vincendo la sua battaglia. Ha abbandonato la Ue, in gran parte pentendosene, ma è riuscita a convincere molti altri paesi a seguire la sua strada. Non tanto di una uscita immediata dall’Unione, ma di non seguire Macron e, ipoteticamente, il nascente governo tedesco che a ciò si è impegnato con un contratto politico, nell’accelerazione del processo d‘integrazione economica e politica del Vecchio Continente.

La dichiarazione condivisa dai Ministri delle Finanze di otto paesi – Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Olanda e Svezia – è preoccupante. Per i tempi, ossia all’indomani dell’esito del referendum in Germania che da via libera al governo Cdu-Csu-Spd, e per i contenuti. Se il governo tedesco ha deciso di raccogliere la sfida di Macron, pronto ad avviare le negoziazioni sul completamento dell’Unione Economica e Monetaria e sul futuro assetto del sistema decisionale/istituzionale europeo, il Documento degli Otto è una vera e propria dichiarazione di guerra alla linea Macron-Merkel/Schulz.

Il messaggio è chiaro: non vogliamo cedere sovranità alle istituzioni europee. Non solo quelle attuali, largamente inefficaci ed antidemocratiche, ma ancor meno ad istituzioni espressione legittima di una volontà che non sia quella mediata dai poteri nazionali. Sovranismo in salsa nordica.

La funzione di stabilizzazione deve essere rafforzata… ma a livello nazionale! Occorre creare un Fondo Monetario Europeo (per aumentare la resilienza del sistema bancario, facendolo fungere da backstop per l’Unione bancaria), ma “il sistema decisionale dovrebbe rimanere saldamente nelle mani degli Stati membri”! Maggiori investimenti sul bilancio europeo vanno benissimo (ma come si dovrebbero finanziare?), basta che siano volti esclusivamente “ad agevolare le riforme strutturali in ciascun paese”. Almeno non si può dire che gli obiettivi non siano espressi in maniera chiara!

Su un punto hanno ragione: la discussione sulla riforma della UEM dovrebbe avvenire in maniera più collegiale. Basta solo fissare, in anticipo, la regola che chi non intende procedere ad una condivisione di sovranità nel quadro di una maggiore legittimità democratica sta (giustamente) fuori dal gruppo che si andrà formando. Se poi vogliono rimanere nell’euro, ottimo. Se pensano di volerlo abbandonare, si accomodino.

Con buona pace della Commissione Europea, che ha cercato (anche per il suo ruolo istituzionale) di mantenere ben salda la compagine europea a 27 indicando una riforma dell’eurozona che avrebbe ben presto assorbito i restanti paesi non ancora nell’euro.

Qui in Italia forse non è chiaro. Ma è evidente che si sta aprendo una lotta all’ultimo sangue su chi vorrà andare avanti (e come pensa di farlo) e chi preferirà starsene a guardare, rimanendo ancorato ad un’idea di Europa come semplice area di libero scambio (o poco più).

Sempre di più, è necessario che Macron e Merkel/Schulz non si lascino intimidire e procedano a gambe levate verso una difesa europea efficace ed efficiente; verso la creazione di un Fondo Monetario Europeo con compiti di stabilizzazione (non solo di backstop per l’unione bancaria, quindi) ed impulso; e in prospettiva la creazione di un bilancio ad-hoc per gestire le nuove competenze comuni, da finanziare con risorse proprie e gestito (come hanno deciso Merkel/Schulz) non con metodo intergovernativo.

Si può fare un ragionamento del genere in termini di eurozona? Dei 19 paesi che adottano l’euro, sei (Finlandia, Irlanda, Estonia, Lettonia, Lituania e Olanda) fanno parte di questo gruppetto; la Slovacchia fa parte del Gruppo di Visegrad, certo non proprio l’avanguardia della condivisione di sovranità; e l’Austria ha dato forti e consistenti segnali di non voler certo andare avanti col processo d’integrazione. Ne rimangono, per quanto tra di loro vi siano i più importanti, undici. Speriamo che non perdano altri pezzi… e soprattutto che il prossimo pezzo perso, nel caso, non sia l’Italia.

 



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