Il Quirinale ha fermamente smentito i rumors secondo cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarebbe pronto a giocare un ruolo di primissimo piano nelle consultazioni per il governo, facendosi avanti con nomi spendibili per il prossimo esecutivo. In effetti è improbabile che il Capo dello Stato si spinga a tanto, in una delicata fase politica dove ogni sua parola rischia di essere strumentalizzata e impugnata come arma dall’una e dall’altra fazione. Di certo però, ha spiegato a Formiche.net Stefano Ceccanti, costituzionalista, professore di diritto comparato alla Sapienza e candidato con il Pd alle ultime elezioni, Mattarella sarà costretto a “esercitare un ruolo più interventista”, anche perché l’intesa fra Luigi Di Maio e Matteo Salvini è destinata a naufragare. Intervistato a margine dell’evento Menabò, organizzato da Formiche e Kratos & Partners nella sede della Civiltà Cattolica, Ceccanti ha detto la sua sugli scenari post voto e le priorità italiane in Europa.
Professore, a suo parere il presidente Mattarella si farà avanti con sue proposte durante le consultazioni per il governo?
Il problema non sono le volontà soggettive di Mattarella ma la situazione oggettiva. Ci sarà una prima fase in cui avanzeranno due soggetti, Di Maio e Salvini, i quali pretenderanno per sé l’incarico. Questa fase fallirà, almeno che non facciano un accordo fra di loro, il che è plausibile, perché le piattaforme elettorali dei due partiti sono molto simili.
Le divergenze sul tema europeo non sono da poco.
È vero, Lega e Cinque Stelle non sono d’accordo su come usare il debito: i primi vogliono finanziare la flat tax, gli altri il reddito di cittadinanza. Ma entrambi sono accomunati dalla logica di dover sfondare i limiti tracciati dalla Commissione.
Ci sono altri scenari plausibili oltre a un accordo Lega-Cinque Stelle?
Se Salvini e Di Maio non troveranno un accordo l’incarico non ci sarà, perché nessuno dei due può vantare una maggioranza in entrambe le camere, e nessuno dei due può pensare di avere l’appoggio del Pd su proposte politiche che sono diametralmente opposte.
In caso di stallo il governo Gentiloni rimarrà in carica?
In quel caso si aprirà una fase in cui Di Maio e Salvini dovranno fare un passo indietro, come lo fece Bersani nel 2013, e il capo dello Stato dovrà esercitare un ruolo più interventista perché non ci sono altre vie di uscita.
Sarà il neo-eletto presidente del Senato a ricevere l’incarico esplorativo da Mattarella?
Benché i partiti ne sembrino sicuri questo non è un esito scontato. L’esploratore si usa come parafulmine quando il presidente della Repubblica deve uscire allo scoperto ed esprimersi sulle dinamiche politiche. In effetti in passato è accaduto più frequentemente che l’incarico ricadesse sul presidente del Senato, l’ultimo è stato Franco Marini nel 2008, ma non sono mancati casi in cui è stato il presidente della Camera a ricevere questo compito, come avvenne con Nilde Iotti a metà degli anni ’80.
Non di rado è accaduto che presidenti di Camera e Senato siano scomparsi dallo scenario politico. Perché allora la carica è tanto ambita?
A dire il vero i presidenti eletti fino ad oggi non sono mai stati figure di secondo piano. Dal ’98 in poi con il nuovo regolamento della Camera è stato assegnato un ruolo anomalo al presidente dell’aula di Montecitorio, che gli permette di incidere in maniera decisiva sull’azione di governo. Abbiamo creato una figura istituzionale del tutto peculiare, soprattutto per quanto concerne la programmazione dei lavori, che andrebbe rimeditata. Non è un caso che da quel momento il segretario del secondo partito della coalizione ha quasi sempre preferito la presidenza della Camera rispetto a un ruolo nel governo, perché chi presiede il parlamento non è frenato da una responsabilità collegiale e resta in carica per cinque anni.
Si prevedono appuntamenti importanti per l’agenda europea, come la riforma dell’Eurozona su cui la Francia di Macron ha grandi aspettative. Un governo di scopo per cambiare la legge elettorale sarà all’altezza?
Prima di parlare di riforma dell’Eurozona bisogna fare una chiara scelta di campo. In Europa ormai c’è una polarizzazione estrema: da una parte l’asse franco-tedesco, dall’altra il gruppo di Visegrad. Il governo italiano si unirà a Parigi e Berlino o al blocco sovranista degli Stati membri dell’Est? È un problema di politica interna di primaria grandezza che inciderà profondamente sulla formazione del governo.
Quali sono invece le priorità italiane per la riforma del sistema di Dublino sull’immigrazione?
Per riformare Dublino abbiamo bisogno che l’immigrazione divenga una politica più comunitaria, imperniata sull’asse Commissione-Parlamento. Se ruota sull’asse dei singoli governi gli Stati che non ricevono immigrati continueranno a scaricare la responsabilità su quelli in prima linea nell’accoglienza.
L’ingovernabilità è frutto del Rosatellum bis o prescinde dal sistema elettorale?
Teoricamente sarebbe stato opportuno adottare dei sistemi che producono un vincitore chiaro. Ma in pratica questo è stato impossibile per la complicazione post-referendaria di due camere che danno la fiducia. Il sistema politico creato dal Rosatellum bis potrebbe funzionare se ci fossero delle minoranze non eccessivamente polarizzate che fanno accordi post elettorali, ma alle attuali condizioni è difficile che questo accada. Una via di uscita sarebbe un sistema a doppio turno su base nazionale sulla scia dell’Italicum, con un doppio ballottaggio Camera-Senato.
C’è rimpianto, col senno di poi, per il ballottaggio dell’Italicum affossato dalla Corte Costituzionale nel gennaio 2017?
Il ballottaggio è stato bocciato dalla Corte Costituzionale per il nuovo contesto politico che si è determinato. Era infatti previsto in una sola camera, ma all’indomani del referendum costituzionale, con la sconfitta del “si”, entrambe le camere hanno mantenuto la fiducia. Non a caso la Corte aveva spostato l’udienza da prima a dopo il referendum, ammettendo così implicitamente che il risultato avrebbe avuto un impatto sulla sentenza.