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L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Perché l’Italia è stata lungimirante sul caso Skripal. Mentre Merkel e Macron… Parla Franco Frattini

Sul caso Skripal, l’ex spia russa trovata avvelenata su una panchina a Salisbury assieme alla figlia, la reazione italiana è stata certamente tardiva. Tagliata fuori ancora una volta dal concerto europeo, che ha subito serrato le fila con un comunicato congiunto con Washington, l’Italia dimostra forse di non avere una politica estera autonoma. Ma, a detta di Franco Frattini, presidente della Sioi, già ministro degli Esteri e commissario europeo, questa volta la ragione sta dalla parte del nostro governo. Intervistato da Formiche.net, Frattini ritiene poco saggia l’accusa del ministro degli Esteri britannico Boris Johnson contro Mosca, perché, in vista delle elezioni presidenziali russe di domenica, “fa solo un favore a Putin”. L’invito per l’Italia è di rialzare la testa e farsi sentire in Europa all’alba di importanti riforme. Le parole di Merkel e Macron dall’Eliseo sul voto italiano sono “inappropriate”, segno di una mancanza di rispetto per il voto degli italiani.

Presidente Frattini, cosa dimostra la tardività della risposta italiana sul caso Skripal?

Questa reazione, nella sua tardività e timidezza, era prevedibile e prevista, tanto che Francia, Germania e Stati Uniti non ci hanno chiesto di sottoscrivere il documento quando lo hanno pensato. Gentiloni era consapevole, e i fatti gli hanno dato ragione, che un’adesione entusiasta a quella nota sarebbe stata rapidamente smentita da quelli che hanno vinto le elezioni: Salvini, Meloni, Di Maio. C’è poi un elemento di sostanza: la politica estera italiana, pur comprendendo le ragioni della lealtà atlantica e avendo accettato il sistema delle sanzioni che così tanto ci danneggia, ha sempre lavorato, dal nostro governo fino a Renzi e Gentiloni, per incentivare un dialogo piuttosto che un isolamento rispetto alla Russia.

Cosa non la convince della risposta diplomatica di Downing Street?

Boris Johnson ha dichiarato che un coinvolgimento di Putin è “altamente probabile”. Non è saggio ritirare i diplomatici e minacciare la Guerra Fredda se si ritiene “altamente probabile” la responsabilità del Cremlino, su queste cose non si scherza. Forse chi ha subito tracciato il verdetto senza aver fatto indagini non ricorda che qualche mese fa, cioè a fine settembre del 2017, con una sontuosa cerimonia all’Aja l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac), Nobel per la pace nel 2013, ha celebrato il completamento della totale distruzione delle armi chimiche possedute dalla Federazione Russa. Nella lista delle armi non è stato inserito il veleno che ha intossicato Skripal e sua figlia.

Dunque è presto per tirare conclusioni su un episodio così grave?

Sono stato presidente del Comitato parlamentare per il controllo dei Servizi segreti, e so bene che gli scambi di spie si realizzano nell’ambito di programmi di collaborazione fra Stati non amici. Che senso avrebbe consegnare una spia, e provare a ucciderla molti anni dopo peraltro con un gesto così clamoroso, lasciando le tracce? Cui prodest? Non ritengo condivisibile questo modo tranchant di fare il nome di Putin alla vigilia delle elezioni.

La crisi diplomatica con Londra può avere ripercussioni sull’opinione pubblica russa in vista del voto di domenica?

Un attacco del genere fa solo un favore a Putin. La sua forza deriva dalla capacità di suscitare un senso di orgoglio nazionale per il ritorno della “Grande Russia”, che si sente assediata dall’Occidente. Per questo l’Italia ha fatto bene, pur esprimendo la doverosa solidarietà agli alleati, ad aspettare a tirare conclusioni.

Qual è a suo parere oggi il naturale collocamento di Roma fra Washington e Mosca?

La naturale vocazione dell’Italia è quella di fare da ponte fra le due sponde. Dobbiamo manifestare alla Russia le nostre ragionevoli preoccupazioni, soprattutto su alcuni gesti simbolici di cui si parla poco, come la scelta di far coincidere le elezioni a Mosca con l’anniversario dell’annessione della Crimea. L’Italia però deve rimanere amica sincera della Russia, senza puntare il dito come fanno gli inglesi. Come è logico, il nostro governo riconosce nella Russia un attore internazionale che resta indispensabile per affrontare la minaccia terroristica, l’instabilità del terrorismo e la questione siriana. In Europa ci sono altri Stati che ritengono poco saggio isolare il Cremlino: penso alla Grecia, alla Spagna, al piccolo e influente Lussemburgo, ma anche a Stati dell’Est Europa come l’Ungheria e la Slovenia.

A proposito di credibilità all’estero, la scorsa settimana il ministro della Difesa del Niger ha smentito una missione militare italiana di contrasto all’immigrazione.

È stato fatto un errore tipico da campagna elettorale, dare per fatta qualcosa senza averla in tasca, la famosa pelle dell’orso prima di avergli sparato. Conosco il Niger e gli altri Paesi di origine e transito dell’immigrazione, la loro opinione pubblica non è fatta di tamburi, ma di internet e social networks. Quando giunge la notizia di una missione di soldati italiani in terra nigerina la reazione è inevitabilmente furibonda. È lo stesso errore di calcolo che l’Italia fa sui rimpatri: per rimpatriare un migrante il nostro governo deve pagargli una borsa di opportunità per aprire una piccola attività. Ma l’accordo deve essere concluso con il Paese d’origine, non consegnando al migrante 500 euro.

Veniamo al nostro collocamento in Europa. In un vertice congiunto con Angela Merkel all’Eliseo Macron ha dichiarato che le elezioni italiane “hanno scosso il contesto europeo” e “hanno visto imporsi gli estremismi”.

Francamente io ho rispettato l’esito delle elezioni francesi così come delle elezioni tedesche, i lunghi mesi che hanno portato alla formazione del governo in Germania, le clamorose dimissioni di Schulz. Gli italiani hanno votato, Francia e Germania dovrebbero avere lo stesso rispetto. Quando prenderà forma il nuovo governo italiano capiremo quali ripercussioni ci saranno in Europa, mi sembra del tutto inappropriato parlare di una scossa a Bruxelles. Questi due Paesi devono abituarsi ad essere più rispettosi dell’esito delle elezioni italiane.

Alla vigilia di una stagione di riforme, dall’Eurozona al sistema di Dublino, in un momento di delicata transizione politica interna, l’Italia avrà la credibilità necessaria per far sentire la sua voce?

L’Italia deve fare di tutto per inserirsi come attore di primo piano in questo percorso di negoziato. Conta più questo dei risultati effettivi delle trattative che sono in bilico. Se infatti Macron continua a spingere sull’acceleratore su proposte come il ministro delle Finanze unico e una maggiore integrazione della governance, Angela Merkel comincia a frenare, ora che al governo non ha più Schauble ma un leader del partito socialdemocratico che è molto più cauto sulla cessione di sovranità all’Europa e le politiche di austerity.

Ci sono speranze che il sistema di Dublino sull’accoglienza venga riformato verso una responsabilità più condivisa fra gli Stati membri?

Questa è senz’altro una delle riforme prioritarie, dobbiamo esserci per chiedere il rispetto del principio di solidarietà, che è già nei Trattati. Il gruppo di Visegrad ha però già dichiarato compatto di non avere neanche intenzione di affrontare la materia, l’unica strada sarà dare inizio a un’Europa a più velocità. C’è uno strumento previsto dai Trattati: una cooperazione rafforzata fra almeno nove Paesi, che può risultare decisiva anche in materia di Difesa comune.

C’è poi il lato economico: fra un anno inizieranno i negoziati per il quadro settennale per il bilancio europeo.

Quella sarà la battaglia delle battaglie per il prossimo governo italiano. Noi siamo uno dei pochi Paesi, assieme alla Francia, che spendono molto più di quanto ricevono. Alcune grandi città del Sud Italia non stanno meglio di Varsavia, Katowice o Breslavia, eppure ricevono meno fondi. Siamo ormai al paradosso per cui i soldi dei risparmiatori di Trapani finiscono per finanziare la bella e ricca Budapest.

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