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Ecco il testamento politico di Aldo Moro. Il ragionamento sui due vincitori che avrebbe cambiato la storia dell’Italia

Di Aldo Moro
aldo moro

Cari colleghi ed amici,

Possiamo dire che abbiamo cercato seriamente e lentamente la verità, la verità nel senso politico, cioé la chiave di risoluzione delle difficoltà insorte nel corso di queste settimane. È una procedura un po’ lenta di fronte a un certo rapido procedere di alcune democrazie occidentali; ma vorrei dire non di tutte, infatti si parla dell’Italia come di un caso a sé, ma l’Olanda ha impiegato circa 9 mesi per risolvere la sua crisi; è vero che ha un primato di una ventina di partiti, al quale noi non siamo ancora giunti e speriamo di non giungere; anche il Belgio ha conosciuto crisi di mesi e non di settimane.

Abbiamo sentito che cominciava qualche cosa di profondamente nuovo, ma non abbiamo mai fino ad oggi sentito che eravamo di fronte ad interrogativi grandi come quelli che ci si pongono dinanzi, ed ai quali si deve rispondere con un profondo esame di coscienza. Siamo davanti ad una situazione difficile, una situazione nuova, inconsueta, di fronte alla quale gli strumenti adoperati in passato per risolvere le crisi non servono più; è necessario adoperare qualche altro strumento, guardare le cose con grande impegno, con grande coraggio, con grande senso di responsabilità, ma anche con grande fiducia nella Democrazia Cristiana.

Queste cose nuove ed inconsuete nascono dalle elezioni, ma hanno una loro origine un po’ più lontana; già prima delle elezioni vi è stato il risultato di un referendum che ha certamente sconvolto la geografia politica italiana. Da anni, è guasto, è arrugginito nel normale meccanismo della vita politica italiana. E, di fronte a questo logoramento propiziato da una stampa pressoché unanime nel denigrare e nel dichiarare decaduta dal trono e dalla sua semplice condizione civile la Democrazia Cristiana, alla luce di questa esperienza si può ritenere che il risultato elettorale del 20 giugno, pur creatore delle novità e delle difficoltà di fronte alle quali ci troviamo, sia stato una risposta sostanzialmente positiva del Paese.

Perciò abbiamo avuto una vittoria, ma non siamo stati soli. Anche altri hanno avuto una vittoria; siamo in due vincitori, e due vincitori in una sola battaglia creano certamente dei problemi. E questo io credo debba essere oggetto di rispetto da parte nostra; l’ho detto più volte e lo ripeto, perché credo che non sia giusto e non sia utile dare un cattivo significato polemico, un significato di ritorsione, al fatto che siamo rimasti in certo modo soli.

Ecco la necessità ogni tanto di guardare più a fondo nelle cose, di guardare sempre realisticamente quello che ci sta di fronte. Dobbiamo rispettare e capire perché, pur creandoci tanti problemi (e credo creandone anche al Paese), queste forze abbiano assunto certe posizioni. Queste forze hanno visto emergere un altro polo di presenza nella vita politica, di segno diverso, di fronte al quale hanno alcuni elementi in comune, una certa tradizione laica, desiderio di immaginare, di sperimentare qualche cosa di nuovo. Non abbiamo perduto in senso proprio l’egemonia, ma certamente la nostra egemonia è attenuata.

Ecco, questa è la storia che sta alle nostre spalle; e cioè, dobbiamo domandarci: è possibile andare avanti, è sperabile di poter andare avanti nella soluzione della crisi camminando in modo lineare? Che cosa dobbiamo fare? Abbiamo delle difficoltà. Dobbiamo fare qualche cosa, e nel fare qualche cosa rischiamo di cambiare la nostra linea, di menomare la Democrazia Cristiana, di compromettere la identità della Democrazia Cristiana ed il suo dialogo aperto e costruttivo con l’opinione pubblica? Questo è il quesito. Che cosa possiamo fare per fronteggiare la situazione ed insieme per non rompere, per non distruggere, per non far nulla di catastrofico, per non guastare delle cose che sono essenziali, per noi, che sono ragioni di vita per la Democrazia Cristiana?

Questo è il punto; e qui vorrei ricordare – avendo sempre in mente la storia della Democrazia Cristiana – i trent’anni che hanno visto tante svolte, se volete svolte piccole, a fronte dei problemi ben più impegnativi che stanno dinanzi a noi. Quale è la garanzia reale del nostro più che trentennale predominio della vita politica italiana? La nostra flessibilità ha salvato fin qui, più che il nostro potere, la democrazia italiana. Lo dico sapendo che le cose oggi sono diverse, sono molto più grandi, hanno bisogno di una misura, di un limite, perché le cose alle quali guardiamo insieme problematicamente, si inseriscano nella linea della flessibilità costruttiva e non nell’ambito delle posizioni incoerenti e suicide.

È necessario quindi guardare alla situazione e guardare alle alternative. Non è detto che le elezioni non possano essere desiderate da altri, anche se essi pure si rendono conto del peso che esse avrebbero.

Ecco, ad un amico, nel corso di un piccolo cenacolo che ha avuto il pregio di svolgersi nella più assoluta discrezione (fatto più unico che raro nella politica italiana), il quale mi chiedeva: si va elle elezioni, bisogna fare le elezioni come testimonianza? Ho risposto: questa è certo la cosa più pulita, risponde ad una coscienza cristallina. Ma se dovessi guardare alla difesa, che pur tocca a noi, di alcuni interessi, non grandi interessi, ma i normali, i legittimi interessi di 14 milioni di elettori, se dovessi scegliere per quanto riguarda la loro integrità, ecco, io avrei qualche esitazione a scegliere la via della testimonianza. Certamente non esiterei ad andare alle elezioni o all’opposizione. Lo dovremmo fare se la posta in gioco lo richiedesse.

Se, invece, vi è, nella pazienza, nella ricerca, nel ritmo della nostra conduzione della crisi, una via che ci si apre dinanzi, che ci permetta di restare sostanzialmente nella nostra linea anche se su un terreno nuovo e più esposto, dicevo: sì, cari amici, questo terreno nuovo e più esposto c’è già, ci siamo sopra nella vita politica. C’è un dovere reciproco di lealtà, di far comprendere quali sono i limiti al di là dei quali non possiamo andare.

Una intesa politica, che introduca il Partito Comunista in piena solidarietà politica con noi, non la riteniamo possibile; anche se rispettiamo altri partiti che la ritengono possibile in vista di un bene maggiore, come un accordo impegnativo di programma. Sappiamo che c’è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena, nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati, quindi dati di fatto obiettivi.

Sappiamo che vi è diffidenza in Europa in attesa di un chiarimento ulteriore sullo sviluppo delle cose, e sappiamo che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare.

Intesa quindi sul programma, che risponda alla emergenza reale che è nella nostra società; e questo, mi consentirete, pur nella mia sincera problematicità, di dirlo: io credo alla emergenza, io temo l’emergenza. La temo perché so che c’è sul terreno economico sociale.

C’è la crisi dell’ordine democratico, crisi latente, con alcune punte acute. Non guardate soltanto alle punte acute, per quanto siano estremamente pungenti; guardate alle forme endemiche, alle forme di anarchismo dilagante cui forse ha dato il destro per imprudenza, lo stesso Partito Comunista quando ha deciso di convogliare alla grande opposizione alla Democrazia Cristiana, le forze soprattutto giovanili del Paese.

Ecco su che cosa consiglio di riflettere per trovare un modo accettabile per uscire da questa crisi. Io ho fiducia, con il vostro consenso, di potere immaginare un accordo opportuno, misurato, legato al momento particolare nel quale viviamo.

Se mi si chiedesse se la situazione di oggi si riprodurrà domani, in elezioni più o meno ravvicinate, la prima risposta (che può essere sbagliata ma è sincera) è: sì. Se voi mi chiedete fra qualche anno cosa potrà accadere, fra qualche tempo cosa potrà accadere, se mi chiedete fra qualche tempo che cosa accadrà, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo.

Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà. Quello che è importante è affinare l’anima, delineare meglio la fisionomia, arricchire il patrimonio ideale della Democrazia Cristiana, quello che è importante in questo passaggio (se voi lo vorrete, se sarà possibile obiettivamente, moderato e significativo), è preservare ad ogni costo l’unità della Democrazia Cristiana.

Per questo dico a tutti: stiamo vicini. È vero quel che io ho detto, che se dovessimo sbagliare, meglio sbagliare insieme; se dovessimo riuscire, ha certo, sarebbe estremamente bello riuscire insieme, ma essere sempre insieme.

Camminiamo insieme perché l’avvenire appartiene in larga misura ancora a noi.

On. Aldo Moro
Gruppi parlamentari della DC
Roma, 28 febbraio 1978

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