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Xi informa Trump del vertice con Kim. Washington ottimista sul futuro, severa sul presente

Alla fine avevano ragione le tre fonti anonime citate dalla Bloomberg: c’era Kim Jong-un all’incontro di altissimo livello col deus ex machina di Pechino, Xi Jinping. Da giorni si ipotizzava sul super vertice, dopo che domenica erano iniziate a circolare le prime notizie a proposito di un treno speciale che dal Nord viaggiava verso la Cina.

Per capire il peso dell’incontro, basta pensare che la visita è stato il primo viaggio all’estero del satrapo nordcoreano dopo che nel 2011 è salito al potere. Tuttavia l’annuncio dell’incontro è stato gestito dai media di Stato cinesi e nordcoreani in modo diverso: per esempio, l’agenzia stampa cinese Xinhua (a controllo governativo) l’ha definito “unofficial“, non ufficiale, senza rendere chiaro il motivo. Il meeting è stato organizzato di fretta a quanto pare, rispetto al protocollo lungo e minuzioso che precede certi vertici, forse perché Pechino ha ritenuto necessario ri-mettere il cappello sul dossier nordcoreano giocando di anticipo, perché vedeva la cosa sfuggirgli di mano per colpa di una raffica diplomatica organizzata dalla Corea del Sud, a cui hanno preso parte gli Stati Uniti. Nelle ultime settimane, infatti, i due paesi partner hanno messo in piedi un sistema di dialogo, a cui s’è accodato il Giappone, fino a pochi mesi fa inaspettato, scavalcando di fatto la Cina nei colloqui col Nord. Su Xinhua la questione però passa così: ci sono stati cambi rapidi sulla situazione della penisola nordcoreana, e per questo Kim “ha sentito la necessità di informare di persona il Compagno segretario generale Xi Jinping”. È un cambio di punto di vista, che serve a ricordare che Pyongyang è subordinata a Pechino. Un incontro non ufficiale, dunque, con cui Pechino scombussola quello sforzo diplomatico in corso, anticipando i prossimi passaggi a guida occidentale. E infatti in Corea del Nord è stata l’annunciatrice Ri Chun Hee a comunicare al popolo del vertice, e questo significa che Pyongyang ha voluto dare particolare valore e onore all’incontro. E la foto della stretta di mano ufficiale tra i due leader campeggia in prima pagina sul Rodong Sinmun, il principale giornale della propaganda del regime. Da notare, sottolinea l’esperta del Foglio Giulia Pompili, che molte delle immagini più riprese sono emulazioni della precedente visita cinese di Kim Jong-il, il vecchio leader, appositamente pensate per dare un segno di continuità nelle relazioni tra Cina e Nord.

Un aspetto non da poco, se si considera che i rapporti tra Pechino e Pyongyang si sono via via intesiti da quando Kim ha preso il potere, ha giustiziato lo zio (l’uomo della Cina nel Nord) e spinto sui muscoli militari; la Cina ha anche votato sanzioni dure proposte dal Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite contro i nordcoreani. Però, Pechino non può restare indietro sulla vicenda.

Secondo quanto diffuso dai media, il messaggio centrale uscito dall’incontro sta nella sostanziale disponibilità di Kim a lavorare verso la denuclerizzazione se gli Stati Uniti si mostreranno sinceri nei prossimi passaggi diplomatici: su tutti, l’incontro tra il coreano e il presidente Donald Trump.

Trump ha già fatto sapere di aver ricevuto un briefing sull’incontro di Pechino da parte di Xi, ma ha anche calcato la linea severa del mantenimento delle sanzioni. Una posizione dovuta (finanche logica), anche perché il dossier nordcoreano è già una questione di frizione all’interno dell’amministrazione – per esempio: il capo del Pentagono, James Mattis, segue una linea molto più aperta verso il dialogo rispetto al nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale, John Bolton – e poi la linea non può cambiare così drasticamente dalle opzioni di attacco al dialogo senza paletti.

Ancora una volta sono i media di Stato cinesi a segnare la posizione di Pechino. Scrive sempre Xinhua, che ha coperto accuratamente la vicenda in inglese: “La questione della denuclearizzazione della penisola coreana può essere risolta, se la Corea del Sud e gli Stati Uniti rispondono ai nostri sforzi con buona volontà, creano un’atmosfera di pace e stabilità”. Ossia, i cinesi calcano ancora sulla loro richiesta storica: americani e sudcoreani devono sospendere l’intensa attività militare congiunta nell’area (una posizione su cui la Cina trova la sponda russa).

È una lettura del tutto geopolitica: Pechino è molto più interessata ai risvolti che quella presenza americana significa dal punto di vista politico, che al peso che ha su Pyongyang in sé. La Cina ha come obiettivo la monopolizzazione degli affari regionali, e d’altronde il corposo contingente statunitense piazzato in Corea del Sud e Giappone ha un ruolo ben più ampio della crisi atomica col Nord: ha una funzione di dissuasione, ancora più marcata da quando l’amministrazione Obama ha spostato il bilanciamento degli interessi di Washington verso Oriente.

Nelle prossime settimane, Yang Jiechi, uno dei boss della diplomazia cinese, sarà a Seul. Jiechi è tornato poco tempo fa da Washington, dove ha sostenuto incontri di alto livello. Congelato il momento militare, sulla penisola coreana si muove la diplomazia pesante.


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