Non tutti i dazi vengono per nuocere ma forse, quelli imposti dagli Stati Uniti alla Cina e viceversa (qui l’analisi dell’economista Ocse, Salvatore Zecchini), sì. Parola degli acricoltori italiani riuniti nella Cia (Confederazione italiana agricoltori), una delle maggiori associazioni della categoria. La domanda, se la guerra commerciale Usa-Cina possa in qualche modo avvantaggiare l’export italiano, è lecita e prende corpo da alcune considerazioni della Coldiretti, emerse due giorni fa, focalizzate sulla vendita all’estero di vino.
Piccola premessa, dopo la reazione della Cina di tre giorni fa ai dazi americani sui beni asiatici, nella notte è arrivata la contro-reazione statunitense con l’amministrazione Trump che ha sollevato il sipario su tutti i dazi contro la Cina, che dovrebbero colpire 50 miliardi di dollari di importazioni, mettendo nel mirino dall’alta tecnologia fino ai beni di consumo. L’elenco è lungo 58 pagine e contiene 1.333 prodotti da assoggettare a tariffe del 25 per cento. A conti fatti rappresenta la più dura iniziativa unilaterale messa in campo da Donald Trump, con l’obiettivo di strappare significative concessioni economiche a Pechino e frenarne lo sviluppo tecnologico.
Tornando all’Italia e i suoi rischi, le esportazioni vinicole nel gigante asiatico, ha sottolineato la Coldiretti, hanno raggiunto il massimo storico di oltre 130 milioni di euro nel 2017, grazie all’aumento del 29% nell’anno. Il fatto è che gli Stati Uniti hanno esportato vino in Cina per un valore di 70 milioni di euro in aumento del 33% nel 2017 e si collocano al sesto posto nella lista dei maggiori fornitori, immediatamente dietro all’Italia. Dunque, colpire gli il vino a stelle e strisce, potrebbe fare buon gioco all’Italia.
Ma Dino Scanavino, presidente della Cia, non la vede proprio così. “Diciamo innanzitutto una cosa, oggi il mercato del vino in Cina è francese, grazie a una quota di export pari al 50%, l’Italia copre una quota del 10% dunque mi pare azzardato parlare di vantaggi per noi. E comunque io rimango fermo della mia idea, le guerre doganali sono sempre dannose per un sistema globale. L’incendio rischia seriamente di espandersi e toccare l’Europa. Quello che dobbiamo capire è che la situazione rischia di sfuggire di mano, coinvolgendo ben altri Paesi, diventando una specie di puzzle incontrollabile”.
Il numero uno degli agricoltori rincara la dose. “Questa è una disputa commerciale a suon di dazi assolutamente da evitare con sullo sfondo il concreto pericolo del proliferare dell’Italian sounding, ovvero l’utilizzo di denominazioni geografiche, immagini e marchi che evocano l’Italia per promozionare e commercializzare prodotti affatto riconducibili al nostro Paese, che già toglie alle nostre aziende 60 miliardi di euro l’anno, di cui 26 solo negli Usa”.
Scanavino però non perde del tutto la speranza, augurandosi uno scenario diverso da quello che si profila con la guerra dei dazi. “La mia speranza è che ditro tutto questo ci siano delle contropartite. Voglio dire che guerreggiare sull’import-export potrebbe in realtà nascondere altre trattative, ben più importanti. Io vorrei pensare che Stati Uniti e Cina si stiano scontrando sul frontre commerciale con l’obiettivo celato di strapparsi ben altre concessioni, magari di altra natura. Se fosse così potremmo considerare lo scontro sui dazi come l’ultimo anello di una più lunga trattativa tra i due Paesi, per raggiungere un nuovo equilibrio mondiale. Questo darebbe alla guerra commerciale più senso”.