Sì, la guerra commerciale tra Usa e Cina è ufficialmente scoppiata. Ma, no, non è l’inizio di un’intifada a colpi di dazi sine die che costringerà i Paesi più industrializzati a riscrivere le regole globali del mercato, cestinando in un sol colpo mezzo secolo di globalizzazione. Salvatore Zecchini, economista in forza all’Ocse, professore di economia internazionale a Tor Vergata con un passato da capo del servizio studi in Bankitalia (qui l’intervista a Formiche.net di un mese fa), torna a parlare dei dazi sulle importazioni di materie prime, all’indomani della dura risposta cinese a Donald Trump (nella foto) nuove tariffe su 128 beni made in Usa per un controvalore di 3 miliardi di dollari su un interscambio di 600. Tra ottimismo e un pizzico di realismo.
UNA MOSSA PREVEDIBILE
Tanto per cominciare, c’era da aspettarselo. La seconda economia mondiale non poteva starsene zitta e buona dinnanzi a 50 miliardi di dazi americani su beni cinesi. “La reazione di Pechino era scontata, prevedibile”, spiega l’economista. “Cinesi e più in generale gli asiatici, anche i vietnamiti, per cultura, non accettano imposizioni senza replicare. La guerra commerciale è cominciata, anche se la definirei una guerra a fuoco lento, a bassa fiamma. La risposta cinese è ancora leggera, per così dire. Tre miliardi di dazi sono ancora una quota limitata”.
ALLE ORIGINI DI UNA GUERRA
Zecchini sa bene che cosa ha spinto Trump a muovere guerra alla Cina. “Mettendo per un attimo da parte l’American First, il fatto è che come ha detto più volte il segretario al commercio americano, Wilbur Ross, la Cina copia gli Stati Uniti senza pagare i diritti, in poche parole ruba tecnologia. E questo Trump non lo può tollerare. Poi c’è il discorso industriale, portato avanti in campagna elettorale, con la Casa Bianca intenzionata a ridare fiato all’industria dell’acciaio e dell’alluminio, le cui difficoltà però, a dirla tutta, mi pare si siano ridimensionate, con un ritorno di competitività delle aziende”.
SE TRUMP (NON) ARRETRA
Circoscritto il problema, è tempo di fare qualche previsione. Per esempio, che cosa farà adesso Trump? Ingeggerà un combattimento corpo a corpo con la Cina? “Trump non farà un passo indietro per il semplice motivo che tutto questo lui l’ha annunciato nella sua campagna elettorale, anzi ce l’ha costruita sopra. A novembre, non dimentichiamolo, ci sono le elezioni del mid term e Trump non può rischiare figuraccie su quello che ha promesso agli elettori. Tra pochi giorni ci sarà una nuova tornata di dazi contro la Cina, ai quali Pechino risponderà quasi certamente con un’altra sventagliata. E allora credo che arriverà il momento dei negoziati, perché un accordo va trovato e Cina e Usa lo vogliono”.
ALLA RICERCA DI UN ACCORDO
Zecchini è sicuro. “Alla fine un accordo bilaterale arriverà, l’importante è avere delle contropartite. Trump vuole esattamente questo, contropartite e credo che Pechino e Washington stiano già trattando segretamente. Ma non sarà facile trovare l’intesa e francamente non so quando arriverà. Le mosse di Trump hanno molto avvelenato il clima negoziale. Sarebbe bene tenerlo a mente, la strada è in salita e anche stretta perché nessuno dei due ha intenzione di concedere nulla. Ma alla fine l’intesa arriverà anche perché non penso che i cinesi vogliano più di tanto alzare il livello dello scontro. E comunque la stessa economia mondiale lo vuole. Wall Street sta soffrendo e questa mattina Tockyo (l’indice Nikkei, ndr), ha chiuso in ribasso proprio per questi timori”.
IL FATTORE COREA
C’è però una variabile, che risponde al nome di Corea. “Gli Stati Uniti non possono troppo tirare la corda con la Cina. Per il semplice motivo che Pechino rappresenta l’ago della bilancia nello scacchiere coreano. In pratica, la Cina è l’unico vero strumento per tenere a bada la Corea del Nord e questo perché PyionPyang è completamente dipendente dalla Cina. Gli Usa farebbero bene a considerare questo aspetto”.
LE CRITICHE DELLA CASA BIANCA
Nel frattempo la Casa Bianca ha criticato Pechino per i contro dazi cinesi in risposta a quelli americani su acciaio e alluminio. “Invece di mettere nel mirino l’export Usa commercializzato correttamente, la Cina deve cessare le pratiche scorrette che stanno danneggiando la sicurezza nazionale Usa e distorcendo i mercati globali”, ha detto Lindsay Walter, uno dei portavoce della presidenza. “I sussidi della Cina e la costante sovraproduzione sono la causa principale della crisi dell’acciaio”, ha aggiunto.