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L’inizio dell’era del petroyuan e la de-dollarizzazione in Cina

OBOR, cina venezie

Il dollaro Usa è così importante nell’economia attuale per tre cause primarie: la massa dei petrodollari, l’uso della moneta americana come riserva mondiale, la vecchia decisione di Nixon, nel 1971, di rompere la convertibilità del dollaro con l’oro. La moneta americana è ancora gran parte della composizione dei Diritti Speciali di Prelievo, la “carta moneta” del Fmi. Una quota dal 41% al 46% a seconda dei periodi. Il petrodollaro nasce quando Henry Kissinger tratta con Re Fahd dell’Arabia Saudita, dopo “settembre nero” in Giordania.

L’accordo è semplice. I sauditi devono accettare solo dollari in pagamento del petrolio, ma sono obbligati a investire questa immane massa di valuta Usa nei canali finanziari statunitensi, e solo in quelli; mentre in cambio l’America pone l’Arabia Saudita e gli altri Paesi Opecad essa vicini sotto la propria protezione militare. Di qui, la trasformazione del dollaro come valuta mondiale, vista l’importanza ed estensione del mercato petrolifero. Senza dimenticare poi che questa massa di dollari in giro per il mondo ha definitivamente emarginato l’oro e ha poi convinto la Fed che la domanda di dollari del mondo fosse immensa e inarrestabile.

Una liquidità infinita che ha mantenuto vivi vari settori industriali Usa ma ha, soprattutto, garantito mercati finanziari immensi come quello dei contratti derivati. Che si basano sull’eccesso strutturale di liquidità Usa. Dopo la caduta dell’Urss, Washington pensa sempre all’egemonia mondiale e, soprattutto, immagina di contrastare la già attiva unione eurasiatica tra Cina, Iran e Russia, il peggior incubo per i decisori Usa, sia sul piano militare che su quello finanziario. Fin da quegli anni gli analisti americani mettono in guardia seguendo Brzezinsky, sulla unificazione dell’Eurasia, da impedire assolutamente, e sulla successiva riunificazione dell’Eurasia con la penisola eurasiatica, da bloccare anche con una guerra. Tutti e tre gli Stati succitati, in quel periodo, conducono ancora i loro commerci in dollari, la Cina voleva continuare a diventare la “fabbrica mondiale”, la Russia è allora allo stremo, l’Iran deve inevitabilmente adeguarsi al resto dell’Opec sunnita.

Con Putin al potere, la de-dollarizzazione russa inizia subito. La quota di riserve in dollari si assottiglia ogni anno, mentre Putin propone contratti petroliferi di nuovo tipo. Dall’anno scorso, per esempio, non si possono usare dollari nei porti. Per l’Iran, proprio il regime sanzionista ha favorito la scoperta di mezzi diversi dal dollaro per i regolamenti internazionali. Continuano le operazioni e i segnali della de-dollarizzazione. La guerra in Iraq contro Saddam Husseyn è anche una battaglia contro il Rais che voleva iniziare a vendere i suoi barili in Euro, mentre la guerra in Afghanistan è letta dai cinesi come elemento dell’accerchiamento globale in atto del proprio territorio. Ecco l’importanza della Belt and Road Initiative. La guerra in Afghanistan è stata, anch’essa, un tentativo di interrompere il progetto eurasiatico di unione economica e commerciale (e politica) tra Russia, Iran e Cina. Gli Usa hanno fatto togliere l’Iran dalla rete Swift, per ulteriore sanzione, il noto sistema di trasferimenti interbancari mondiali, che pure è una società privata. Ma Teheran ha aderito immediatamente al cinese Cips, una recente rete, simile allo Swift, con il quale peraltro è già interamente collegata. L’idea della Cina è, in fondo, quella di creare una moneta internazionale basata sui Diritti Speciali di Prelievo del Fmi e liberamente spendibile sui mercati mondiali, al posto del dollaro Usa, per evitare “le pericolose oscillazioni derivanti dalla moneta americana e le incertezze sul suo reale valore”, per usare le parole del governatore della banca di emissione cinese Zhou Xiaochuan, che sarà tra poco sostituito da Yi Gang.

In contemporanea, Mosca e Pechino stanno acquisendo masse rilevanti di oro. Pechino ha comprato oro per almeno 1842,6 tonnellate negli ultimi anni, ma l’indice internazionale potrebbe essere falsato, visto che molte transazioni alla Shangai Gold Exchange sono Otc, Over the Counter e non solo quindi segnalate. La Russia avrebbe finora raggiunto le 1857,7 tonnellate, sempre stando ai dati ufficiali. Finora, i due Paesi hanno comprato il 10% dell’oro disponibile nel mondo. Intanto, l’Arabia Saudita ha già accettato i pagamenti in yuan per il petrolio inviato in Cina, che il suo maggior cliente. E’ questo il punto di svolta. Se cede Riyadh, tutta l’Opec prima o poi seguirà. India e Russia hanno già, in vari casi, commerciato con l’Iran prendendo il petrolio in cambio di beni primari. La Cina ha inoltre aperto una linea di credito con l’Iran di ben 10 miliardi di euro, per bypassare le sanzioni. Si ipotizza poi che la Corea del Nord usi le criptovalute per comprare petrolio dalla Cina. Il Venezuela, per quanto sia disastrata la sua economia, non vende più il suo petrolio in dollari, e si tratta di una delle più vaste riserve mondiali oggi conosciute. Pechino, inoltre, comprerà gas e petrolio dalla Russia in yuan, con Mosca che sarà abilitata a convertire yuan in oro direttamente presso la Shangai International Energy Exchange. Il “residuo tribale” di Keynes si prende la sua rivincita.

Gli accordi, finora, per gli scambi nelle rispettive monete sono avvenuti tra la Cina e il Kazakhistan, (14 dicembre 2014) Cina e Sudafrica (10 aprile 2015) Russia e India (26 maggio 2015) mentre alla fine di novembre 2015 la Banca centrale russa inserisce lo yuan nella lista delle valute che possono essere accettate come riserve; il 3 novembre 2016 vi è l’accordo tra Turchia e Russia per l’interscambio delle proprie monete, nell’ottobre 2017 poi vi è un simile accordo tra Turchia e Iran. Sul piano delle istituzioni finanziarie, la de-dollarizzazione prosegue con la costituzione del fondo dei Brics, per un valore di 100 miliardi (siamo al 16 luglio 2014) e con la costituzione, il 16 gennaio 2016, della AIIB, Asian Infrastructure Investment Bank, con 57 paesi membri, Italia compresa, con la automatica ira di Washington. Segue la fondazione, nel Maggio 2015, della Russian-Chinese Investment Bank, si apre poi, nel luglio dello stesso anno, la nuova banca per lo sviluppo dei Brics, con sede a Shangai, ma nel novembre del 2015 l’Iran approva la costituzione di una banca insieme con la Russia. Nell’ aprile del 2015, è bene sottolinearlo, si apre il sistema nazionale russo per le carte di credito, che si occupa anche dei piccoli trasferimenti di valuta. Non è affatto da dimenticare, inoltre, la legge della Duma del 18 novembre 2014 sulla de-offshorization, la normativa obbliga le società russe residenti all’estero a pagare le tasse direttamente all’erario russo. Il Cipscinese, di cui abbiamo già parlato, inizia ad operare nell’ottobre del 2015, mentre la Russia mette in opera un analogo dello Swift (interattivo con quello cinese) nel marzo 2017. La questione è complessa, poiché gli Usa, con il fracking, sono diventati il primo produttore di petrolio; e quindi ha meno bisogno di mantenere la vasta massa di petrodollari. Il tutto mentre in questi giorni è stato scoperto, al largo del Bahrein, è stato scoperto un giacimento di shale naturale di petrolio e di gas, con riserve da 80 miliardi di barili di petrolio e di 4 triliardi di metri cubi di gas.

Gli Usa non comprano più idrocarburi, non gli serve, ma la Cina è sempre di più il miglior acquirente globale. A parte la stabilità dei prezzi del gas e del petrolio, che dovrebbe essere garantita nei prossimi anni, l’acquirente cinese e i suoi alleati dovrebbero, sempre di più, poter selezionare tra l’offerta e, certamente, tra i Paesi che accettano lo scambio bilaterale non-oil con la Cina e i pagamenti in yuan o in oro. Oggi, ancora, il 22% del Pil mondiale è rappresentato da quello Usa, mentre l’80% dei pagamenti internazionali è in dollari. Da ciò deriva che gli Usa ricevono beni dall’estero sempre a prezzi comparativamente molto bassi, mentre la richiesta massiccia di dollari dal resto del mondo permette il rifinanziamento del debito pubblico americano a costi bassissimi. È questo il punto, economico e politico insieme. Il governo russo ha infatti tenuto una riunione specifica sulla de-dollarizzazione nella primavera del 2014. E anche questo non è da dimenticare. È una operazione politica che appare come finanziaria, spesso in contrasto alla “volatilità” dei mercati attuali, ma il nucleo è strategico e geopolitico. In teoria, la de-dollarizzazione riguarda tre questioni specifiche: quella dei pagamenti, quella dell’economia reale e quella finanziaria, ovvero dei contratti finanziari denominati in dollari.

Nel primo caso, la Cina tenderà ad eliminare ogni transazione in Us dollars da parte di paesi terzi; e ad eliminare meccanismi di saldo che implichino il biglietto verde operanti nelle sue aree vicine. Nel secondo, le transazioni in dollari saranno e sono già in gran parte proibite, per i privati. Nel terzo caso, la percentuale di contratti esteri in yuan è ormai del 40%, e vi sarà una forte accelerazione in questo anno 2018. Gli oil futures in yuan sono ormai in piena espansione. Il primo tentativo avvenne nel 1993, quando la Cina aprì le sue borse titoli a Pechino e a Shangai. La stessa Cina chiuse le operazioni due anni dopo, a causa dell’instabilità dei mercati e della debolezza, allora, dello yuan. Due cose sono cambiate, oltre alle altre, da allora: lo yuan è stato ammesso nel 2016, come valuta che compone i Diritti Speciali di Prelievo del Fmi; e la Cina ha superato, nel 2017, gli Usa come maggior importatore di petrolio al mondo. Quindi, con i futures petroliferi in yuan, la Cina riduce la sua dipendenza dal dollaro e, nel frattempo, sostiene le sue importazioni oil, oltre a promuovere globalmente l’uso dello yuan e ad espandere la sua presenza nel mondo. Lo stesso ha fatto la Russia. Gli Usa stanno quindi per essere spodestati come moneta-mondo a causa della loro continua serie di guerre e insuccessi militari (Cossiga mi ripeteva sempre che “gli americani sono sempre sul piede di guerra, ma poi non ne sanno uscire”) e dovranno pagare, come tutti gli altri, il loro debito pubblico, che è immenso e, sempre di più, sarà un problema loro, non nostro. Viene in mente la vecchia battuta di John Connolly, antico presidente della Fed, ai banchieri europei: “il dollaro è la nostra valuta e il vostro problema”.

Naturalmente, in tutte queste tematiche, che pure riguardano primariamente l’Euro, l’Unione Europea tace e dorme.

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