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Il fattore Iran, il ruolo di Israele e Mosca in mezzo. Ecco lo scenario dopo lo strike

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Intorno alla mezzanotte di sabato 14 aprile, lo stesso giorno del raid misurato con cui Stati Uniti, Francia e Regno Unito hanno colpito tre siti riconducibili al programma di armi chimiche della Siria, sono iniziate a circolare notizie su esplosioni improvvise in alcune basi siriane (a sud di Aleppo, nell’area di Deir Ezzor e a Quneitra).

Non ci sono conferme ufficiali di nessun genere, nemmeno sul numero delle basi interessate, ma tra queste ci sarebbe quella del monte Azzan, sulla fascia montuosa meridionale della regione aleppina, che è considerata una delle più grandi installazioni militari iraniane in Siria. I ragionamenti che seguono sono affidati a speculazioni, ma piuttosto contingentate.

Secondo diverse fonti locali ed europee quelle esplosioni sarebbero collegabili ad attacchi aerei israeliani. La ricostruzione non è priva di concretezza: il governo israeliano infatti ha ordinato più volte bombardamenti in Siria (dal 2012 se ne contano più di cento), che sono mirati a preservare l’interesse nazionale, dice Tel Aviv.

Ossia: le intelligence israeliane sanno che gli iraniani (nemici esistenziali dello stato ebraico) stanno usando il territorio siriano, e la cortina fumogena del conflitto civile, per passare armi sofisticate al gruppo armato libanese Hezbollah. Secondo il Mossad, quelle armi saranno usate contro Israele quando il conflitto coi libanesi – chiuso soltanto nel 2016 – si riaprirà (e si riaprirà di certo, dicono gli analisti israeliani e molti studiosi ed esperti della regione).

Teheran starebbe sfruttando la Siria, e il sostegno dato al presidente dittatore Bashar el Assad nel mantenere il potere, per trasformare il Paese in una piattaforma militare strategica in mezzo a Israele e Arabia Saudita – questa situazione è ciò che fa da motore alle dinamiche di avvicinamento tra Riad e Tel Aviv, due paesi che sono formalmente in rotta da decenni, ma che adesso trovano cooperazione contro un nemico comune (e grazie alla catalizzazione americana, alleata dei due e nemica iraniana).

Nella notte appena trascorsa, dicono fonti locali non attualmente verificabili, gli israeliani avrebbero lanciato una dozzina di cacciabombardieri in territorio siriano per colpire soprattutto la base del monte Azzan, che è il principale centro di comando delle forze iraniane che stanno sostenendo il regime assadista e fa da coordinamento a diversi gruppi paramilitari ideologici sciiti che l’Iran usa come proxy per combattere guerre regionali e diffondere politicamente la propria influenza; tra questi, ovviamente Hezbollah.

L’unico commento su quanto accaduto è uscito proprio dal media propagandistico del gruppo libanese, al Masdar, che ha detto che quelle esplosioni nella base di Azzan erano dovute a detonazioni all’interno dei magazzini in cui erano stoccati alcuni armamenti. Un incidente, insomma, ma si sa che al Masdar è piuttosto inaffidabile, e da quando la rivoluzione siriana è partita nel 2011, è diventato la grancassa della disinformazione russo-iraniana, e non solo a proposito del conflitto locale (la Siria, in effetti, è stato il prodromo di diverse dinamiche, tra queste la diffusione di fake news alterate ad arte dagli attori in gioco).

Israele di solito non commenta questi attacchi, e dunque anche se fosse, difficile che dagli uffici governativi uscirà qualcosa di ufficiale. Anche e soprattutto per il contesto temporale attuale. Sabato il raid punitivo franco-anglo-americano ha sganciato 105 missili su postazioni siriane pre-indicate (e dunque sgomberate dai governativi) per evitare danni collaterali. Dunque un momento delicato per ammettere di aver colpito un’importante base senza preavviso e dove potrebbero esserci state perdite tra gli iraniani e i libanesi assadisti.

Di più: lunedì c’era stato un altro attacco contro una base siriana, la T-4 nei pressi di Homs (verso Palmira). Gli israeliani non avevano commentato, ma i russi dopo poche ore dal raid aereo avevano diffuso pubblicamente la notizia sugli autori: è stato Israele, aveva detto pubblicamente il ministero della Difesa di Mosca. I russi erano spalle al muro per lo sciagurato attacco chimico di Douma, probabilmente compiuto da Assad senza autorizzazione di Mosca.

La Russia da quando è entrata in guerra in Siria (settembre 2015) ha chiuso un accordo discreto con Israele, concedendo l’uso dei cieli per preservare quegli interessi di Tel Aviv di cui si parlava poche righe sopra, ricevendo in cambio una atteggiamento fairy dagli israeliani; li avvisavano prima di colpire, così da evitare perdite tra i russi.

Con l’attacco di questa settimana questa partecipazione sugli interessi reciproci sembrava essersi infranta, ma poi il Cremlino ha reso pubblico che per evitare escalation con gli americani, il presidente Vladimir Putin ha cercato l’intermediazione del premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Possibile, tornando nel campo speculativo, che quei contatti telefonici si siano portati dietro un’autorizzazione all’attacco ad Azzan, visto che la Russia non ha mosso le sue potenti difese aeree durante l’eventuale raid avvenuto in profondità nel territorio siriano (possibile anche che Israele abbia usato gli F-35, che si sono mossi in maniera stealth, invisibili ai radar, ma improbabile che i russi non abbiano visto nulla).

A quanto noto, pare che questi contatti a tre – Russia, Stati Uniti, Israele – abbiano chiuso su un punto: ridurre la presenza iraniana (e delle forze proxy collegate) in Siria. E Israele si sarebbe messo subito all’opera, allora.

“Prima dell’attacco americano ci sono state trattative con Mosca per concordare le modalità dell’azione, che doveva essere accettabile per non far perdere la faccia a Washington (e Parigi, Londra) e risultare sostanzialmente simbolica relativamente alle armi chimiche”, ci spiega Eugenio Dacrema, esperto di Medio Oriente dell’Università di Trento, che ricopre anche il ruolo di ricercatore associato dell’Ispi a Milano. “Semplificando, gli americani avrebbero accettato di agire in modo soltanto simbolico ottenendo in cambio la possibilità di un ridimensionamento dell’Iran in Siria, che è poi quello che preme di più all’amministrazione Trump. A quel punto, se il ruolo iraniano fosse ridotto, gli americani potrebbero anche accettare di ritirarsi più rapidamente dal nord-est (piacerebbe alla Casa Bianca come al Cremlino, ndr)”.

“Il raid di Us/Uk/Fr contro armi chimiche di Assad difficilmente cambierà qualcosa su ruolo Iran. La vera questione è cosa possono avere concordato Usa e Russia in cambio di un bombardamento così mirato e nei fatti poco dannoso. Usa/Uk/Fr erano d’accordo nel non voler colpire bersagli russi (per evitare escalation); Trump voleva però includere bersagli iraniani (nel suo tweet dei giorni scorsi contro ‘animal Assad’ attribuiva la colpa dell’attacco a russi e iraniani), mentre Uk e Francia si sono opposti. Ci ha probabilmente pensato Israele con gli attacchi di questa notte su basi iraniane a Aleppo, Deir ez Zor e Quneitra (se confermati)”, spiega Annalisa Perteghella, Iran Desk dell’Ispi.

Allora, continua la ricercatrice, “l’eventuale attacco istaeliano può essere letto come il completamento dell’operazione di Us/Uk/Fr, ma anche come il segnale che Israele sta lanciando alla Russia, invitandola a contenere l’espansione iraniana perché altrimenti ci penserà da solo”.

Dunque il fronte Israele vs Iran all’interno della guerra siriana è quello più caldo? “Sì, è quello in cui può veramente esserci escalation. I nodi verranno al pettine quando Assad lancerà operazioni di riconquista dei territori a sud-ovest, vicino al confine con Israele, dove Tel Aviv sta cercando di ampliare sua zona cuscinetto”.

Spostandosi verso il lato governativo del campo, difficile che Hezbollah e Iran ammettano perdite ad Azzan, soprattutto se ingenti proprio in vista dei prossimi confronti. Dopo l’attacco alla T-4, Teheran ha diffusor pubblicamente nomi e foto dei “martiri” uccisi (quattro tra i Pasdaran che si trovavano nella base sono rimasti sotto ai missili iraniani), e alcuni combattenti di Hezbollah hanno ricevuto cerimonie funebri in piazza, ma in quell’occasione c’era la protezione diplomatica fornita dalla denuncia russa.

Se – ammesso l’attacco ci sia stato – stavolta dovesse mancare la sponda di Mosca, difficile per gli iraniani ammettere una batosta, soprattutto per questioni di immagine; il loro impegno siriano è anche collegato alla narrativa di invincibilità che viene trasmessa in patria. Per esempio, dopo l’attacco occidentale di sabato, Damasco e Teheran (e anche Mosca) si sono vantate dell’efficienza della difesa aerea siriana, che avrebbe abbattuto un numero enorme di missili – anche se altri dati meno spinti dall’ideologia dicono che in realtà tutti gli ordigni lanciati da americani, francesi e inglesi hanno raggiunto il proprio obiettivo.



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