“Macron non è amico di Trump”, ha detto un funzionario francese a Karen DeYoung, esperta cronista del Washington Post. Parlando a condizione di anonimato per discutere apertamente di questa relazione tra il presidente francese, Emmanuel Macron, e quello americano, Donald Trump, che in questi giorni si trovano insieme negli Stati Uniti, la fonte ha aggiunto: “Non crediamo a tutta questa roba sulla bromance, che sono amici. Macron lo sta facendo perché sa che deve essere vicino al nostro più stretto alleato, il presidente del paese più potente del mondo. È nel nostro interesse avere una buona relazione. Lui non lo vede come amico”.
Il rapporto diretto tra i due leader non è questione da Agenzia matrimoniale, ma spiega molto sulle relazioni tra i due paesi, che in questi mesi sembrano particolarmente forti. Macron è un pragmatico che si approccia a Trump con estrema razionalità: sa che l’America è, e resterà ancora a lungo (Trump o meno), il riferimento del mondo occidentale di cui la Francia fa parte; sa che al presidente americano piace ottenere “fedeltà” (come chiese al suo ex direttore dell’Fbi, James Comey, prima di licenziarlo); sa che a Trump piace essere corteggiato (ed ecco le fanfare durante la visita del luglio scorso); ma sa ancora di più che le tendenze al limite dell’isolazionismo della Casa Bianca – e l’incertezza strategica che ne consegue – aprono scenari e opportunità in cui infilare la Francia. E lui si butta, sfrutta gli spazi.
Un’attenta ricostruzione del New Yorker ricorda che questo rapporto tra Macron e Trump è nato quella volta a Bruxelles in cui gli “handshakeologists” (è un termine formidabile che la rivista usa per indicare, con ironia, gli esperti di strette di mano) saltarono sui loro divani davanti alla prova rispettiva prova di forza. Da una parte Trump, noto per stringere la mano con vigore ai propri interlocutori e tirarli a sorpresa verso di sé (in un movimento che rappresenta una volontà di controllo del rapporto, diranno gli psicologi comportamentali), dall’altra Macron, che resisteva stoico a quella mossa da wrestler del deal che poche settimane prima aveva fatto impallidire il premier giapponese Shinzo Abe, più abituato ai pacati e cerimoniosi rituali orientali.
Poi i contatti, senza perdere l’occasione di qualche screzio, e infine gli abbracci nel luglio scorso, quando Trump è stato ospitato a Parigi con un’accoglienza d’altri tempi. I liberal francesi detestano questo feeling, trovano imbarazzante che Chris Wallace di Fox News (falco trumpiano tra i falchi repubblicani della Fox) intervisti il presidente francese, ma quell’apparizione televisiva diventa un paradigma della politica estera francese, scrive il New Yorker.
“Parleremo con tutti” è la linea di Macron, che sa bene che per diventare il canale americano verso l’Europa, e per costruirsi uno standing indipendente, serve qualche compromesso. “La domanda non è se Trump e Macron sono amici” spiega in sintesi la rivista americana, ma capire se lo sono “per quale fine”.
Pragmatismo. Trump vuole alleati disposti a impegnarsi direttamente e pronti a svincolare le proprie attività internazionali da quelle americane. Cerca il riequilibrio. Macron è disposto a sporcarsi le mani (sulla Siria, sulla crisi col premier libanese, in Niger o Libia). Washington è accontentata, Parigi cresce d’influenza. Gli altri inseguono.