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Orban e le sfide all’identità europea

La democrazia è una bella cosa. Quando ciascuno degli elettori possiede informazioni complete (o ragionevolmente tali) e capacità critiche per analizzarle; e quindi per esprimere un voto libero e consapevole (e in questo senso, infatti, tutti gli Stati soffrono oggi di una profonda crisi della democrazia partecipata). In mancanza anche solo di una delle due condizioni, la democrazia degenera. E in questa degenerazione, chi controlla la formazione dell’opinione pubblica ha un potere potenzialmente immenso. Il modo in cui le ‘narrazioni’ delle vicende vengono impacchettate, determina in ultima analisi l’esito del voto.

La vittoria di Orban in Ungheria pone una serie di questioni interessanti. Alcune sul piano teorico, ossia principalmente sulle compatibilità fra sistema di potere sui mass-media e sistema democratico. Orban, negli anni precedenti, ha cancellato qualsiasi voce dissidente ed ha fatto raccontare, tra le altre cose, un’Ungheria che si arrocca in difesa della purezza etnica contro l’invasione dei migranti voluta da Bruxelles. In Ungheria, di migranti ce ne sono qualche centinaio: quasi tutti profughi siriani, colti ed estremamente silenziosi. Le narrazioni contano eccome.

Un’altra questione aperta dalla rielezione di Orban ha a che vedere con l’Unione Europea. Può essere ancora tollerato nella Ue un paese dove gli equilibri di potere costituzionali vengono cancellati, anche se a colpi di maggioranze parlamentari o di atti del governo eletto, in un contesto in cui la rappresentatività e legittimità della classe politica sono affidate ad asimmetrie di potere nel più ampio tessuto della società civile, nei mass-media appunto, nelle cariche apicali delle istituzioni pubbliche?

Perché se la risposta è si, ha fatto bene la Ue a non prendere provvedimenti sostanziali nei confronti di Budapest in questi ultimi anni, così come fa bene la Polonia ad attuare una decisa deriva che allontana il paese da una moderna democrazia liberale nella quale siano riconosciuti gli equilibri di potere fra giudiziario, esecutivo e legislativo.

Se invece la risposta fosse negativa e non riconoscessimo questo modo di governare nei valori fondanti della democrazia europea, dovremmo prendere immediati provvedimenti di tipo sanzionatorio, da quelli economici (i fondi di coesione) a quelli giudiziari (Corte di Lussemburgo), fino a valutare l’espulsione dalla Ue.

È anche sulle risposte a queste domande che si fonda la fiducia dei cittadini nei confronti dell’Unione Europea, oltre che la sua identità. E qui veniamo all’ultimo punto che vorrei sottolineare. Chi difende i cittadini ungheresi dagli abusi di potere del loro governo? Se riteniamo che le regole per una sana e robusta democrazia siano state violate in Ungheria, come assicurare ai cittadini ungheresi che qualcuno interverrà per difendere i loro diritti democratici? Chi ne ha gli strumenti? E chi ne ha la volontà politica?

L’Europa, tanto per cambiare, dimostra di non esistere. Se non come somma di governi nazionali che fanno quello che vogliono a casa loro. E su cui nessuno può intervenire. Fin quando l’Europa sarà questo modello intergovernativo e confederale di gestione del potere, i cittadini non avranno alcun ruolo.

E, se vogliono avere un ruolo da giocare, dei valori da difendere, allora possono solo lottare per trasformare questa Europa confederale, somma di gruppi di potere nazionali al comando, in un’Europa federale, in una genuina democrazia sovranazionale nella quale siano rispettate le prerogative di scelta consapevole e libera degli individui ad ogni livello.

Visto il ruolo centrale di avanguardia che il nostro paese ha storicamente giocato per cambiare questa Europa inefficiente, ci aspettiamo quindi che le recenti dichiarazioni del Vice-Presidente del Parlamento Europeo, Fabio Massimo Castaldo, in un’intervista a Il Messaggero, si traducano in una linea politica precisa e coerente del suo gruppo, sia a livello europeo sia nazionale; e che si battano per dare seguito all’analisi svolta, indicando come priorità politica la costruzione di un’Europa capace di agire collettivamente in politica estera e in tema di diritti dei cittadini, oltre che in grado di finanziare la fornitura di beni pubblici europei per dare risposte a mezzo miliardo di cittadini che sono ancora in attesa di qualche segno concreto sul quale poter continuare a sognare di far parte di una grande comunità.



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