Non sappiamo ancora cosa abbia in mente Di Maio. Ma non abbiamo nessuna intenzione di fare il processo alle intenzioni. Limitiamoci quindi a quello che ha detto al Presidente Mattarella: siamo pronti a scrivere un accordo di governo col Pd e, se non fosse disponibile, con la Lega.
Ad oggi, quindi, Di Maio segnala al Pd la disponibilità a sedersi intorno ad un tavolo e negoziare un contratto, stile grosse Koalition in Germania, per governare questo paese. Prima di gettare alle ortiche questa opportunità credo serva un momento di riflessione.
Tanto più che buona parte dell’elettorato del M5S proviene proprio dal Pd, stufo di vedere un partito (teoricamente) di sinistra che ha abbondonato ogni battaglia per i diritti sociali (per fortuna almeno non anche quelli civili), stufo di percepire una sinistra che non solo governa con la destra, ma lo fa in nome di mere, sfacciate battaglie di potere. Stufo di accogliere da decenni politiche neoliberali che (teoricamente) ben poco avrebbero a che spartire con una visione sociale, economica e politica di sinistra. Stufo di essere abbandonato nella difesa dello stato sociale da chi (teoricamente) proprio da quelle rivendicazioni avrebbe da raccogliere consenso elettorale.
Il Pd ha perso perché non ha più fatto quello che i suoi elettori gli chiedevano, snaturando il senso di ‘sinistra’; non perché volevano vederlo all’opposizione. Sarebbero ben lieti, sia quelli che lo hanno votato, sia quelli che se ne sono allontanati, di vedere il Pd finalmente riacquisire il ruolo di sprone per un cambiamento costruttivo dell’Italia, in difesa dei suoi cittadini e contro gli abusi di potere.
Il M5S è un Movimento, quindi di per sé ‘liquido’. Può prendere una deriva populista e demagogica (anche se a populismo e demagogia siamo purtroppo assuefatti da decenni, e non mi pare che ci siamo mai lamentati granché), come quella che lo ha in gran parte caratterizzato negli anni passati; oppure virare verso una direzione più attenta alle responsabilità di governo. Più orientato alle tentazioni sovraniste nazionalistiche; o ad impegnarsi per costruire una genuina sovranità multilivello. Contrario alla trasformazione dell’Unione Europea in un soggetto politico coeso; oppure artefice di quella stagione di profonde riforme istituzionali che si annunciano a breve e che vanno attentamente guidate.
L’alternativa posta dal M5S è chiara: o lo si aiuta a trasformarsi in una direzione, o sarà costretto a prendere l’altra.
Se il Pd avesse ancora un’anima responsabile nei confronti del paese, e non solo verso le proprie poltrone e le posizioni di potere acquisite (e da difendere, anche se sempre più risicate) a livello personale, non vi sarebbe dubbio che la scelta dovrebbe essere quella di sedersi intorno a quel tavolo e verificare l’effettiva disponibilità di Di Maio a ragionare sul futuro dell’Unione Europea e sui dossier più scottanti nelle cancellerie tedesca e francese, per spingerle verso un’Europa più efficiente e solidale. Chiederebbe un ripensamento complessivo della politica economica e degli investimenti pubblici orientandoli all’innovazione tecnologica, alla transizione verde. Pretenderebbe il rispetto degli impegni assunti a livello internazionale (tanto se non vengono rispettati ci pensano i mercati a farceli rispettare), ma allo stesso tempo darebbe la disponibilità a rivedere voci di spesa inefficienti, per liberare risorse sufficienti a far ripartire in maniera duratura la crescita (e soprattutto la fiducia degli italiani). Potenzierebbe la formazione pubblica del capitale umano e sociale, in tutte le loro forme. Valuterebbe l’effettiva efficacia delle misure di privatizzazione di asset strategici finiti in mano ai soliti noti; e molte altre cose ancora.
Tutto questo, se il Pd avesse ancora un’anima responsabile.