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Trump congela le sanzioni. Ma il conflitto siriano si sposta alle Nazioni Unite

Il presidente americano Donald Trump ha congelato per il momento l’ordine con cui alzare nuove sanzioni contro la Russia. Le solite fonti dei giornali americani dicono che Trump vuole rallentare un po’ con Mosca e — come ha ricordato anche la sua portavoce — sebbene per nuove mosse siano in studio, difficile che sceglierà nuovi provvedimenti duri senza che i russi facciano qualcosa di eclatante.

Domenica era stata l’ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley, a dire in diretta televisiva che l’amministrazione americana è pronta a una nuova ondata di sanzioni contro la Russia per punire l’appoggio che Mosca sta offrendo al sanguinoso dittatore siriano Bashar el Assad.

Haley è una trumpiana agguerrita che differisce dall’ottica presidenziale per quanto riguarda la sua visione generale dell’impegno americano del mondo (molto meno isolazionista del suo capo), ma che piace moltissimo al Prez perché ha modi diretti e spiccioli. E con questi si muove nel sistema globalista per antonomasia della Nazioni Unite, un mondo intimamente detestato per tempi, modi, spirito e concetti, dal presidente americano. Che tuttavia nei fatti l’ha smentita; l’ambascitrice diceva “vedrete lunedì”, e il presidente lunedì ha alzato il piede dall’acceleratore.

Washington, per bocca di Haley, chiedeva ancora una volta sostegno agli alleati: vorrebbe che per primi gli europei si sentano maggiormente coinvolti sulla responsabilità per quel che accade in Medio Oriente – e in particolare in Siria – e chiedeva di allinearsi sulle nuove sanzioni contro Mosca.

Con la nuova ondata di sanzioni, che comunque potrebbero arrivare presto al di là del rallentamento presidenziale, il dipartimento del Tesoro americano andrebbe a colpire direttamente tutte le compagnie che fanno affari fornendo equipaggiamenti ad Assad e che sono collegabili all’uso delle armi chimiche. Sarebbero la componente diplomatica che segue l’attacco congiunto franco-anglo-americano di due giorni fa, quello con cui l’Occidente s’è preso la responsabilità (almeno nello spirito) di evitare che l’uso di armi chimiche nel conflitto siriano finisse per essere normalizzato.

La componente militare non sarà invece calcata oltre, almeno per il momento, ma sul piano della diplomazia dura le carte da giocare per Stati Uniti e alleati ci sono ancora: l’obiettivo chiaro non è un regime change in Siria, ma un changing nell’atteggiamento russo, che dovrebbe smettere di sostenere Damasco. Trump ritiene ancora utile il dialogo con il suo omologo russo, dunque forse potrebbe aver frenato sulle nuove sanzioni anche in quest’ottica.

Lo spirito di dissuasione c’è, l’obiettivo però è difficilmente raggiungibile: la Russia è incastrata nell’appoggio ad Assad insieme all’Iran – disse in una partnership sostanzialmente scomoda per Mosca, nonostante escano posizioni congiunte con Teheran – e mollare adesso sarebbe una perdita di faccia che l’impalcatura che sostiene il presidente Vladimir Putin al potere difficilmente riuscirebbe a sostenere.

Sempre sul piano diplomatico, al Palazzo di Vetro lo scontro ruota sulla missione dell’Opcw. Gli ispettori, guidati dalla delegazione inglese, accusano russi e siriani di aver impedito l’avcesso al sito dell’attacco chimico di Douma per alterare le prove. Presentata la nuova bozza di risoluzione sulla Siria avanzata al Consiglio di Sicurezza da Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna, con cui  si chiede la fine dell’impiego delle armi chimiche di qualsiasi genere.

La cronaca racconta certi passaggi dimenticando che ufficialmente Damasco ha smantellato il proprio arsenale chimico nel 2013, quando aderì a un’intesa internazionale spinto proprio dalla Russia – che usò il proprio potere di mediazione per evitare una risposta ben più sostanziosa dei 105 missili dell’altro ieri, dopo la strage al sarin nell’East Ghouta.

Ora gli americani vogliono sanzionare i russi per aver aiuto i siriani a sviluppare armi chimiche, su cui proprio i russi avevano garantito agli americani lo smaltimento.

Le nuove sanzioni anti-russe annunciate dagli Stati Uniti “non hanno alcun legame” con la situazione in Siria, ma sono dirette “a ostacolare” Mosca sui mercati internazionali: è questa la replica che il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha affidato all’agenzia Interfax. “La campagna di sanzioni contro la Russia sta davvero assumendo i contorni di un’ossessione: le consideriamo illecite, contrarie al diritto internazionale e alle regole del Wto”, ha aggiunto.

Peskov ha detto che “qualsiasi economista può facilmente vedere in questa serie di sanzioni i tentativi da parte dei concorrenti di spingere le compagnie russe fuori dai mercati internazionali” e le ha chiamate “incursioni economiche internazionali”, ricordando come la leadership di Mosca continui a lavorare per garantire la stabilità dell’economia interna, e annunciando la rapida calendarizzazione di un disegno di legge in ritorsione.

Il tentativo del Cremlino è quello di portare la questione nell’ottica commerciale, spostando l’attenzione dalle responsabilità russe – sul sostegno politico, diplomatico, militare ad Assad – al rispetto di alcuni principi del libero mercato. Lo scopo del piano è creare una sintesi tra la linea protezionistica dell’amministrazione Trump e la punizione inflitta alla Russia è quello di costruire un presupposto per cui  i paesi europei dovrebbero essere più restii ad accodarsi alla richiesta americana.

Però il Consiglio Affari esteri dell’Ue (Cae) di Lussemburgo ha chiuso la sua analisi sulla situazione in Siria scrivendo che si”continuerà a prendere in considerazione ulteriori misure restrittive nei confronti della Siria, finché continuerà la repressione”.

Il Consiglio condanna “fermamente l’uso continuato e ripetuto di armi chimiche da parte del regime compreso l’ultimo attacco a Douma, che è una grave violazione del diritto internazionale e un affronto alla dignità umana” e “appoggia tutti gli sforzi volti a prevenire l’uso di armi chimiche”, citando direttamente l’azione trilaterale di sabato 12 aprile.

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