Che la tensione fosse massima da tempo è cosa nota. Ma ora cominciano ad arrivare i primi attacchi frontali tra Elliott e Vivendi, alla vigilia del doppio scontro in assemblea (24 aprile e 4 maggio), che deciderà il nuovo assetto della governance di Tim, il cui azionista di riferimento è oggi la media company francese del bretone Vincent Bolloré (nella foto). Poche ore fa il gruppo transalpino ha sferrato una zampata al fondo Usa, che attraverso una complessa opera di moral suasion ha di fatto accerchiato Vivendi, garantendosi il sostegno di gran parte dei fondi azionisti dell’ex monopolista. Non sono colpi sotto la cintura, ma è certo che ormai Elliott e Vivendi hanno ingaggiato un combattimento all’ultima azione.
Il primo atto d’accusa, contenuto in un position paper, è forse quello più duro. Elliott e la sua cordata di fondi altro non vorrebbero che smantellare la società telefonica, con obiettivi non meglio precisati. Il fondo Elliott “afferma di sostenere la strategia di Amos Genish (attuale ceo, che Elliott non vuole rimuovere, ndr), ma in realtà vuole imporre un nuovo, differente corso focalizzato sullo smantellamento del gruppo”. Di più. Il fondo del finanziere Paul Singer “non spiega come quel piano possa essere implementato con un cda diviso. Non spiega neppure come intende imporre una nuova strategia a Genish e al suo team senza il supporto del principale azionista della societa”. L’obiettivo di Vivendi è chiaro. Tentare di giocare sulla carta dell’emozione e mettere in discussione la credibilità industriale di Elliott, gettandone sopra un’ombra agli occhi degli altri soci. E, perché no, strizzare l’occhio al governo italiano, da un paio di settimane nel novero dei soci di peso grazie all’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti con una quota fino al 5%.
L’azionista Tim mette a questo punto in dubbio l’effettiva volontà del fondo, oggi azionista forte a ridosso del 9% ma con un’opzione fino al 13,7%, di sostenere il piano Digitim, la strategia messa a punto da Genish per consentire a Tim quel cambio di pelle più che necessario e che prevede tra le altre cose quello spin off della rete che potrebbe vedere un ruolo dello Stato italiano, attraverso la società pubblica Open Fiber. “Difficile credere al supporto di Elliott al piano industriale Digitim con in aggiunta una lista di altre proposte, molte delle quali sono state già prese in considerazione e respinte come impraticabili o potenzialmente dannose per la stabilità finanziaria della società in un momento cruciale. Per fare un esempio, basta citare quei Paesi dove la separazione della rete è stata un fallimento”, ha scritto Vivendi.
Fin qui le accuse. Poi c’è da rivendicare quanto di buono fin qui fatto dai francesi in Tim. Tanto per cominciare, l’andamento del titolo, tra le voci più importanti quando si tratta di valutare l’operato di un socio. Vivendi ha sostenuto la ripresa del prezzo azionario di Tim in un momento in cui gli operatori del settore delle telecomunicazioni, sia a livello europeo sia globale, stavano subendo un drastico declassamento. Da giugno 2017 la performance del titolo dell’ex Telecom Italia “è stata migliore del 17% rispetto ai peers del settore. Ciò riflette la crescente fiducia nel ceo Genish e nel suo team”. Ora, con il piano presentato da Elliott, questa ripresa “è a rischio”.
Il gruppo francese di Bollorè non ha difficoltà nel ricordare al mercato di aver “investito 4 miliardi di euro, anche quando tre anni fa registrava continue basse performance”, legate a investimenti insufficienti e cattiva gestione, Vivendi oggi ha “un interesse diretto nel successo industriale e finanziario dell’azienda. Gli interessi di Vivendi sono allineati a quelli della stragrande maggioranza degli azionisti. L’attuale management sta lavorando attivamente per sviluppare relazioni più approfondite con gli stakeholder e questo lavoro sta iniziando a dare i primi frutti. Nelle più recenti performance finanziarie e nel corso azionario, si nota un nuovo slancio, che ora rischia di essere messo a repentaglio”.
Infine, l’asso nella manica di Bollorè, ovvero la questione dell’italianità dell’azienda. Argomento molto sensibile, visto che dal futuro assetto di Tim dipenderà il controllo sulla società della rete. E con un governo Lega-Cinque Stelle all’orizzonte (sia Matteo Salvini sia Luigi Di Maio hanno sempre tifato per una rete tutta in mano pubblica), parlare di identità industriale può avere la sua influenza. Certo, di contro c’è che i francesi in Tim, ad eccezione di parte del Pd dell’ex leader Matteo Renzi (Bollorè iniziò a scalare l’allora Telecom a cavallo tra il 2015 e il 2016, in pieno governo Renzi) non sono mai stati visti bene. Ma Vivendi ha deciso ugualmente di provarci, rivendicando la capacità di “preservare l’italianità di Tim con una governance e una rappresentanza italiana, totale trasparenza e responsabilità”. In altre parole, Vivendi è pronta a garantire all’Italia che l’infrastruttura della rete Tim sia capace di svolgere il ruolo di “spina dorsale” del Paese nel futuro, mentre il fondo statunitesne Elliott “sembra essere più a suo agio con l’Italia del passato”. Ma sarà dura, perché in più occasioni l’attuale esecutivo ha espresso lodi al piano di Elliott.