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L’intelligenza politica del professore (e statista) Aldo Moro secondo Ciriaco De Mita

Di Ciriaco De Mita
Aldo Moro, antiterrorismo

Inutile continuare a evocare complotti: Aldo Moro è stato rapito e ucciso da persone che l’hanno confessato. Rifiuto con sdegno l’idea che ancora si cerchi un colpevole, mentre chi ha rapito e ucciso Moro lo ha già detto nei tribunali. La tragica morte di Moro ha fatto sì che in tutti questi anni anziché celebrare il più grande statista italiano, si sia preferito andare alla ricerca dei responsabili. La stupidità di questa vicenda emerge anche nella costituzione dell’ultima commissione d’inchiesta. Aldo Moro è stata una delle figure più significative della storia della Repubblica e noi dobbiamo ricordare e conservare il valore della sua intelligenza politica. L’unità del Paese e l’unità della Democrazia cristiana, in uno dei momenti più difficili della storia dell’umanità, in piena guerra fredda sono state le maggiori preoccupazioni di Moro che ha sempre operato per tenere al sicuro il nostro Paese dalle minacce che di volta in volta si sono manifestate. Sulla tragica vicenda di Moro ci si è interrogati più sull’individuazione dei responsabili, più o meno occulti, del suo rapimento e della sua morte, che sulla figura di questo statista e sugli esiti che il corso della democrazia ha avuto in Italia dopo la sua scomparsa. I servizi sono attendibili nella loro poca chiarezza, altrimenti non sarebbero servizi ed è necessaria invece una lettura della storia della democrazia italiana. Pertanto, ignorare Aldo Moro, il più grande protagonista della storia democratica del nostro Paese, l’ho ritenuto un gravissimo errore perché invece può aiutarci a correggere lo sbandamento del Paese. La democrazia in Italia corre grossi rischi, siamo in presenza della crisi del sistema democratico del nostro Paese.

La lettura vera della storia politica della democrazia in Italia è una storia di rara complessità, soprattutto nella fase di avvio della democrazia in Italia. Infatti, la politica degasperiana ha ripreso la cultura prefascista e ha avviato la democrazia in Italia con straordinaria intelligenza. La cultura dei popolari immaginava la dimensione internazionale non come equilibrio tra potenze ma come processo alla costruzione della democrazia. Da questo punto di vista l’esperienza degasperiana nella storia del nostro Paese credo sia stata quella più definita. Personalmente ho votato contro Moro quando si è candidato alla segreteria nazionale della Democrazia cristiana nel 1959 perché i dorotei chiesero ad Amintore Fanfani di dimettersi da capo del partito e Fanfani acconsentì. Venne allora indicato come segretario di transizione Aldo Moro, che aveva abbandonato il popolarismo per abbracciare la cultura del cattolicesimo francese. Infatti, nel 1951 si erano riuniti i giuristi cattolici che si trovarono divisi tra le tesi di Giuseppe Dossetti, che ipotizzava il diritto come tutela della virtù, e quelle di Moro, che sostenevano la tutela della libertà. Si realizza così una divaricazione radicale nella cultura istituzionale e giuridica dello Stato democratico. Eletto segretario della Democrazia cristiana, la definì partito popolare nazionale e antifascista. Subito dopo, dettò le tre condizioni per avviare l’alleanza politica con i socialisti e rendere vincente il centro-sinistra: la prima era quella di spiegare sul piano internazionale la collocazione dell’Italia; la seconda ribadire che l’ispirazione cristiana della politica della Dc rimaneva inalterata; la terza era che occorreva evitare di allontanare l’elettorato reazionario del Mezzogiorno.

A metà del 1968 Moro viene sostituto nella guida del governo, concludendo la prima fase dell’esperienza politica che vedeva la Dc alleata con il Psi. In quella circostanza, spiegai che la politica del centro-sinistra era esaurita e Moro rimase meravigliato da questa mia opinione, senza però commentarla. Successivamente, Moro ipotizzò l’alleanza con il Partito comunista perché aveva intuito l’esistenza delle condizioni per realizzarla, spiegando che l’equilibrio politico italiano viveva in un certo senso in una condizione surreale, poiché ogni forza politica viveva una sua solitudine nel passaggio tra epoche diverse. Pertanto, bisognava creare la convergenza sull’idea di democrazia, le cui ragioni dovevano essere intimamente condivise. Moro era consapevole che occorreva essere vigili su come si sarebbero realizzate queste convergenze, perché era fondamentale l’unità del partito che vedeva come pluralismo della ricchezza culturale.Moro veniva censurato o quantomeno deriso per la lunghezza dei suoi discorsi e per la complessità dei suoi aggettivi. In realtà, dimostrava una profonda capacità di analisi sulla complessità della situazione italiana, riuscendo a spostare l’equilibrio politico dal centrismo al centro-sinistra e successivamente alla solidarietà nazionale.

La morte di Moro ha interrotto quella esperienza che ha messo in crisi la democrazia del nostro Paese. Sotto questo profilo, non si possono più mantenere segreti.

(Intervento tratto dal libro a cura di Mario Caligiuri, Aldo Moro e l’Intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere, Rubbettino Editore, 2018, pp. 300)


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