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L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Cose turche. Erdogan infiamma l’Europa con un discorso incendiario

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Doveva essere un comizio elettorale e in buona dose lo è stato. Ma nel suo discorso a Sarajevo, il primo all’estero per parlare esplicitamente di elezioni sul suolo nazionale, il Presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha fatto capire a Bruxelles che c’è una parte di Europa che è comunque disposta ad andargli dietro. Non solo buona parte dei sei milioni di turchi che vivono nel Vecchio continente, ma anche i governi degli Stati dei Balcani occidentali, dove la Mezzaluna negli ultimi 10 anni ha aumentato notevolmente la sua influenza, facendo leva soprattutto, ma ora non più esclusivamente, sulle comunità musulmane che abitano in quei territori.

L’arma utilizzata, spesso, è quella del passato ottomano, ma anche l’acredine nei confronti di quell’Europa Occidentale troppo tentennante nei confronti dell’assorbimento di quei Paesi che hanno sperimentato in pochi anni la fine della Jugoslavia e una guerra che lascia ancora segni profondi. Un passato utilizzato dal Presidente pro domo sua. “I turchi – ha detto Erdogan – non sono nuovi all’Europa, ci sono stati per secoli”. Il problema è che in quel tempo lo hanno fatto da dominatori. E se ieri si usavano le armate, oggi si utilizzano i passaporti.

Il Presidente Erdogan ha infatti esortato i turchi che vivono all’estero a prendere la cittadinanza di quei Paesi, facendo anche politica attiva, entrando in Parlamento, ma anche a non dimenticare mai la loro fede e la loro lingua, oltre che a tramandarla ai figli. “Alcuni Stati europei – ha detto il presidente turco – hanno avuto atteggiamenti che a tratti hanno raggiunto la mancanza di rispetto nei confronti della Turchia”. L’invito è a non permettere che quei Paesi dividano i turchi, che devono andare avanti uniti, non importa se vivano o meno nella madre patria.

Il messaggio è tutto per l’Olanda e la Germania, dove vivono minoranze di turchi consistenti e che lo scorso anno hanno vietato a Erdogan di tenere comizi per il referendum costituzionale sul loro territorio. Ma anche all’Austria, anche questa con seri problemi di integrazione della diaspora turca.

Le parole di Erdogan sono potenzialmente incendiarie, volte ad auspicare la nascita non di cittadini europei, ma di cittadini che siano per prima cosa turchi e poi europei. Un modo di esercitare il suo soft power basato su flussi demografici e l’inettitudine di un’Unione Europa che non ha ancora saputo rimodulare la sua identità con le sfide che la modernità impone.

A prendere il suo posto, ci pensa Erdogan, con il suo modello di nazionalismo rivisitato e quell’idea di tornare a prima della Prima guerra mondiale. Per noi un episodio storico superato, per lui un conto da saldare.

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