Il Presidente cinese, Xi Jinping, ha ospitato il dittatore nordcoreano, Kim Jong-un, per un faccia a faccia che si è svolto a Dailan, una città della Cina orientale non distante dal confine con la Corea del Nord. Si tratta del secondo incontro del genere nel giro di pochi giorni; a fine marzo i due si erano visti per la prima volta a Pechino.
Le voci circolate sul meeting, che si è svolto lunedì pomeriggio (Kim è ripartito martedì mattina dalla Cina, stavolta non in treno ma con un volo di stato), sono state poi confermati dalla televisione cinese Cctv, e da un articolo dell’agenzia stampa Xinhua, che ha definito l’incontro “cordiale”.
Sui motivi della riunione ci sono diverse interpretazioni. Innanzitutto, Kim potrebbe aver ricevuto l’ordine di ragguagliare direttamente il Presidente cinese sugli ultimi passaggi della situazione coreana, in particolare sull’incontro con il sudcoreano Moon Jae-in, che sembra aver aperto la strada per un negoziato più ampio sulla pace tra le due Coree – e sul programma atomico del Nord.
Possibile anche che Kim abbia voluto chiedere a Pechino un maggiore sostegno, magari un allentamento unilaterale sulle sanzioni che pressano l’economia di Pyongyang: la Cina ha aderito ad alcune misure onusiane, ne ha messe in piedi di altre e potrebbe scegliere di ridurre i provvedimenti punitivi come segno di fiducia sulle bontà di Kim.
D’altronde, i cinesi sono gli unici alleati dei nordcoreani – sebbene Pechino abbia iniziato da tempo a dar segni di impazienza davanti alle vecchie intemperanze del satrapo del Nord – e una mossa del genere potrebbe servire anche da precedente; come dire, se ci fidiamo noi, che lo facciano anche gli altri. Da notare che questi due incontri possono sottolineare che Kim si sta mettendo su una traiettoria che piace più a Pechino, che preferisce notevolmente i colloqui ai missili.
Però Xi potrebbe aver in mente anche altri aspetti più strategici. Il Presidente vuole essere un riferimento globale, e per farlo sa che quanto meno deve essere il polo attorno cui ruota tutto quel che succede nel Pacifico. Dunque Pechino potrebbe essersi sentita scavalcata dalle mosse intra-coreane e con questo incontro potrebbe voler mettere di nuovo la firma sul futuro del Nord – bubbone regionale.
Per di più se si considera che a breve il Presidente americano Donald Trump dovrebbe incontrare personalmente Kim: meeting sul quale Xi ha di nuovo giocato di anticipo, come fatto a fine marzo, un mese prima del faccia a faccia tra Pyongyang e Seul.
D’altronde è stato lo stesso Kim a dire che la sua intenzione di denuclearizzare non è legata alle pressioni e alle sanzioni americane, e ha chiesto alla Casa Bianca di non mentire all’opinione pubblica. Un messaggio chiaro, rivolto forse anche a Pechino, rassicurato del proprio ruolo.
Che la crisi nordcoreana sia un problema complesso attorno a cui si muovono diversi, e grossi, attori, è testimoniato dalla denuncia con cui Pyongyang ha attaccato Tokyo. Il Rodong Sinmun, il giornale del partito comunista al potere al Nord, ha criticato il Giappone, rimasto praticamente l’unico paese a mantenere alto l’atteggiamento di “massima pressione” sanzionatoria nei confronti della Corea del Nord.
“Acqua gelata sugli sforzi per allentare le tensioni nelle Penisola coreana”, ha scritto ieri, accusando Tokyo tra – false notizie e propaganda – di voler invadere la penisola e di voler “sfruttare il deterioramento della situazione”.
A stretto giro si è mosso Moon da Seul, offrendosi come intermediario in un eventuale processo di riavvicinamento tra giapponesi e nordcoreani; domani nella capitale nipponica, si terrà un trilaterale tra Giappone, Cina e Corea del Sud. Finito il tempo degli annunci di guerra, ora è la corsa per la diplomazia a infuocare il confronto sulla crisi coreana.