Mentre Lega e Movimento 5 Stelle concordano sul “rivalutare” le missioni internazionali, con tutti i relativi rischi (qui l’allarme del generale Leonardo Tricarico), il Regno Unito si muove per aumentare il contingente in Afghanistan. Dopo le richieste avanzate da Stati Uniti e Nato, il ministro della Difesa Gavin Williamson ha raccomandato alla premier Theresa May l’invio di altre 400 unità per un contingente che attualmente ne conta circa 500. La presenza inglese raggiungerebbe quella italiana, per ora seconda solo agli americani, e potrebbe determinare un cambiamento di equilibrio nei rapporti tra gli alleati. Se si considerano le note difficoltà sul fronte della spesa, il rischio, in vista del prossimo Summit della Nato di luglio, è di perdere la capacità di orientare le priorità dell’Alleanza.
IL REGNO UNITO PRONTO A INVIARE ALTRI SOLDATI
L’indiscrezione sui piani di Londra arriva dalla Bbc, con la specifica che una decisione ufficiale sarà probabilmente annunciata il prossimo luglio in occasione del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza a Bruxelles. Con la fine di Isaf a dicembre 2014, le combat troops del Regno Unito (impegnate in Afghanistan dal 2001) si sono dedicate al training, nell’ambito della missione Resolute Support della Nato che ha come obiettivo proprio l’assistenza e l’addestramento delle Forze armate e di sicurezza afghane. Allo stesso scopo operano nel Paese 900 soldati italiani, a cui è affidato il Train Advise Assist Command – West (Tssc-W) di Herat.
I recenti scontri a Farah (nell’ovest) e la serie di attentati che hanno colpito il Paese negli ultimi mesi (il 30 aprile sono state 29 le vittime) ha mostrato con evidenza la fragilità di un Paese ancora troppo lontano da una piena stabilità. Da tempo gli alti comandi discutono su un possibile ritorno a impieghi combat, su cui si starebbe ora orientando anche il Regno Unito. Il generale Richard Barrons, che in passato a guidato il comando inglese in Afghanistan, ha spiegato alla Bbc Radio che Londra “deve riconoscere che la decisione di lasciare nel 2014 non ha funzionato”. Un aumento del contingente “manderebbe un importante messaggio ai nostri alleati e ai talebani: la guerra finirà quando i talebani realizzeranno che non possono combattere per tornare al governo”.
LE RICHIESTE DI USA E NATO
Già alla fine del 2017, il segretario alla Difesa statunitense James Mattis annunciava l’intenzione di inviare altri tremila soldati in Afghanistan, oltre ai circa settemila già presenti (su un totale di tredicimila della missione Resolute Support). A tale iniziativa si è progressivamente aggiunta la richiesta di sostegno agli alleati, a cui ha ora risposto il Regno Unito. La scorsa settimana, il tema è stato ulteriormente discusso dalla May con Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, che ha tuttavia smentito il possibile ritorno a una missione combat. Il numero uno dell’Alleanza aveva parlato di “poche centinaia” di unità da aggiungere per “aumentare il training” e potenziare “la lotta al terrorismo”. In realtà, considerando le pressioni statunitensi e le indiscrezioni della Bbbc sul programma inglese, l’incremento di militari potrebbe essere più consistente.
L’ITALIA TRA AFGHANISTAN E SPESA
La notizia pare rilevante anche per il nostro Paese. L’Italia rappresenta il secondo contributore di Resolute Support, una posizione che, insieme all’ottimo lavoro universalmente riconosciuto dagli alleati, ha contribuito negli anni a consolidare lo status di alleato di prim’ordine, a fronte di una scomoda carenza sul fronte della spesa per la Difesa. Con l’1,12% del Pil destinato al settore, siamo ben lontani dall’obiettivo del 2% entro il 2024, un tema tornato prepotentemente in auge con l’amministrazione targata Donald Trump. Proprio ieri, in occasione della visita di Stoltenberg alla Casa Bianca, il presidente americano ha ribadito la necessità di un più equo burden sharing tra le due sponde dell’atlantico, invitando nuovamente gli alleati a rispettare gli impegni assunti in Galles nel 2014. Il monito si farà sicuramente più pressante nel Summit di luglio, un appuntamento rilevante a cui il Paese deve essere pronto. Se, oltre alle spesa, l’Italia dovesse registrare anche una riduzione della partecipazione alle missioni, sarà difficile poter spiegare agli alleati perché l’Alleanza deve guardare anche il fronte sud. La possibilità di orientare le scelte della Nato è direttamente proporzionale al contributo che si dà al sistema di sicurezza collettivo. Ridurre il secondo, inibisce la prima.
LE MISSIONI INTERNAZIONALI PER IL GOVERNO GIALLO-VERDE
Il rischio c’è, e lo dimostra il “contratto per il governo del cambiamento” di Lega e Movimento 5 Stelle, nel quale si prevede di “rivalutare la presenza dei contingenti italiani nelle singole missioni internazionali”, e non si fa minimo accenno alla spesa per la Difesa. Certo, bisogna ricordare che già lo scorso gennaio, il ministro della Difesa Roberta Pinotti aveva annunciato l’intenzione di ridurre la presenza in Afghanistan (così come quella in Iraq), sebbene la stessa sia poi stata confermata nelle medesime dimensioni nel Pacchetto missioni per il 2018. L’obiettivo era tuttavia quello di ri-orientare (e non rivalutare) la postura militare italiana verso il nord Africa e il Sahel, verso missioni più direttamente legate all’interesse nazionale.
“Via dall’Afghanistan” è stato da sempre un motto del Movimento 5 Stelle, dimostratosi poi particolarmente critico anche nei confronti della missione in Niger. I rischi di uno smantellamento della postura militare esterna sono stati evidenziati dal generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa: “È bene che il governo comprenda un concetto fondamentale: se si riducono o si dismettono le missioni internazionali, lo strumento militare italiano muore; andare all’estero è un fatto di sopravvivenza, così riusciamo a rimanere aggiornati e ad essere assetti pregiati nei teatri moderni; l’Esercito italiano vive, è efficiente e professionale solo in quanto partecipa alle missioni internazionali. Se tutto questo dovesse finire – ha rimarcato il generale – noi dovremmo chiudere bottega”.