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Mps, Alitalia e Ilva. Tutte le bucce di banana sulla strada del Tesoro giallo-verde

La certezza, nelle ore in cui Giuseppe Conte predispone la lista dei ministri da presentare a Sergio Mattarella è che chiunque prenderà posto dietro la scrivania di Piercarlo Padoan al ministero dell’Economia, dovrà fare molta attenzione a dove e come mettere le mani. Le bucce di banana su cui scivolare non mancano di certo.

Una di queste è Mps, la terza banca italiana salvata dallo Stato per 5,4 miliardi, in cambio della maggioranza (68%) del capitale. Ora, l’azionista pubblico ha intenzione di uscire dalla banca da qui a tre anni, per restituire Mps al mercato, come vorrebbe l’Europa. Peccato che la Lega, socio al 50% del nuovo governo, non ne voglia sapere di rimettere il Monte dei Paschi in mano ai privati e anzi voglia, come raccontato da Formiche.net nei giorni scorsi, riscrivere l’attuale piano di ristrutturazione concordato con l’Ue e recante la firma dell’attuale ceo, Marco Morelli. Che, tanto per chiudere il cerchio, il Carroccio o parte di esso vorebbe far saltare. In altre parole, c’è la seria possibilità che il nuovo governo voglia andare in rotta di collisione con Bruxelles sul dossier Mps.

Peccato che rimettere mano alla ristrutturazione di Rocca Salimbeni per prolungare sine die la presenza dello Stato nel capitale o ammorbire il taglio dei costi appare un’operazione di difficilissima realizzazione. Il salvataggio di Mps si regge infatti su un restructuring plan quinquennale negoziato direttamente dal Tesoro e dalla Commissione europea in base a quanto previsto dalla direttiva Brrd. Il presupposto di questo dell’accordo è stata la sua compatibilità con la disciplina sugli aiuti di Stato attorno alla quale dovrebbe ruotare anche una sua eventuale rinegoziazione. In altre parole, il piano Mps è incardinato sui principi della stessa Brrd e una radicale revisione del piano presuppone una revisione della direttiva. Il Tesoro targato giallo-verde, insomma, rischia di sbattere contro un muro, rimettendoci anche in credibilità.

Altra questione è per esempio Alitalia. Anche in questo caso la Lega, con l’appoggio dei Cinque Stelle, vorrebbe bloccarne la vendita, per favorire un nuovo ingresso dello Stato a mezzo, forse, della Cassa Depositi e Prestiti. E non è un caso se nei giorni scorsi al Senato, in commissione speciale, siano passati alcuni emendamenti al decreto Alitalia che impegnano il futuro governo ad assicurarsi almeno il 25% della compagnia. Ma l’Europa potrebbe accettare tutto questo? Vale la pena ricordare che in Francia il governo di Emmanuel Macron ha più volte respinto l’ipotesi di un intervento pubblico per salvare Air-France, finita nel guado. I francesi potrebbero avere qualche cosa da dire in caso di blitz pubblico su Alitalia. E poi, dove trovare i soldi per rientrare in possesso di parte del capitale? E come giustificare agli occhi dei cittadini l’ennesima semi-nazionalizzazione della compagnia?

E ancora, l’Ilva, stavolta in tandem con lo Sviluppo Economico, con Arcelor Mittal decisamente di malumore dopo il mancato accordo coi sindacati e la chiara volontà politica di chiudere l’acciaieria. I franco-indiani potrebbero decidere di dare forfait e per l’esecutivo sarebbero guai, senza sapere cosa fare dell’impianto e con 20 mila lavoratori a casa.  Il governo si ritroverebbe in imbarazzo. Specialmente se nel fare tutto questo non fosse riuscito nel frattempo a trovare 12 miliardi e mezzo per disinnescare lo scatto dell’Iva, a partire dal 2019.

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