Globalista o sovranista, nazionalista o semplicemente patriottico, socialista o repubblicano, populista o democratico. È passato quasi un anno da quando il 7 maggio del 2017 Emmanuel Macron entrava all’Eliseo dopo aver fatto terra battuta alle urne del Front National di Marine Le Pen. Eppure ancora si fa fatica a provare a etichettare il giovane (ma non più tanto) presidente francese, il “rottamatore” che si è messo En Marche alla conquista delle istituzioni e una volta salito sul trono non è più sceso, neanche per delegare ai suoi più intimi collaboratori. Sarà per questo che, a dispetto delle prime frecciatine, Macron ha trovato un feeling speciale con il presidente americano Donald Trump, tra vigorose strette di mano, parate militari in grande stile e un’accoglienza a Washington davvero atipica nel suo sfarzo (soprattutto se paragonata alla gelida conferenza stampa concessa da Trump ad Angela Merkel il giorno dopo). Entrambi fuori dagli schemi, ma costretti a fare i conti con strutture più antiche e resistenti di loro: i burocrati, i sindacati, una stampa e un’opinione pubblica niente affatto entusiaste.
È tempo dunque di un primo bilancio per l’ex banchiere di Rotschild che ha fatto a pezzi i vecchi partiti francesi. Un bilancio che si deve per forza scindere in due, come due sono i binari su cui ha corso la presidenza Macron nei suoi primi dodici mesi. Da una parte la politica estera: un tripudio. Forte di una Germania indebolita da una lunga crisi istituzionale, di un governo italiano ancora ferito dal referendum del 4 dicembre 2016 e un Regno Unito troppo impegnato a litigare sulla Brexit, Macron ha avuto la strada spianata verso Bruxelles. La sua postura ricorda Charles De Gaulle, la sua sicurezza non si vede dai tempi di François Mitterand. È lui il vero interlocutore nel Vecchio Continente, all’estero lo hanno capito. Così da Recep Tayipp Erdogan a Narendra Modi, da Xi Jinping a Vladimir Putin e Donald Trump, è lì, a Parigi, non a Berlino, Roma o Bruxelles, che fanno tappa i potenti del mondo. La sua scommessa di riformare l’Europa dalle fondamenta è ancora aperta, poco importa che certe idee come il ministro delle Finanze unico o il bilancio per l’Eurozona siano fumo negli occhi per i falchi tedeschi. La partita è tutta da giocare nei prossimi mesi, ma a giudicare dalle premesse sarà una partitella a due: Parigi-Berlino.
Che dire della Francia macroniana nell’immaginario pubblico? Non si contano più le copertine di riviste prestigiose come Time, The Economist o Forbes con il volto del presidente in primo piano, a celebrare le sue gesta, forse un po’ acriticamente. A soli quattro mesi dall’entrata all’Eliseo, la Francia di Macron si è classificata al primo posto nella lista del Soft Power 30 stilata dal gruppo di consulenza Portland e l’Università della California del Sud. Nessuno, neanche sua Maestà il Regno Unito o gli Stati Uniti d’America, regge il confronto con l’appeal culturale francese all’estero.
La presidenza Macron però ha anche un dark side of the moon. Il trionfo di immagine oltre i confini si scontra con la realtà di un presidente che in casa è calato a picco nei consensi fin dalle prime settimane all’Eliseo. Le tanto attese riforme del lavoro e della concorrenza sono state avviate, ma i cantieri sono ancora a metà, bloccati da un’ondata di malcontento diffuso fra sindacati e associazioni operaie. La riforma sui licenziamenti, ora più snelli, ha dato il colpo di grazia a Macron, che in soli 100 giorni dal successo elettorale ha visto il suo consenso crollare dal 64% al 36%, svela un sondaggio Ifop. I dati più recenti sono ancora più impietosi: secondo un sondaggio Ipsos/ Sopra Steria oggi i 2/3 degli elettori sono delusi dal suo operato. La riforma delle ferrovie ha portato in piazza migliaia di lavoratori della Sncf a difesa della garanzia dell’assunzione per i nuovi arrivati. Un “privilegio” per il governo, un diritto inalienabile per i sindacati, che accusano l’Eliseo di “una campagna di bugie”. Massicci scioperi piegano tutti i settori toccati dalle riforme macroniane: dalla sanità all’università fino ai trasporti. Adesso è il turno delle compagnie aeree: mentre Macron spiccava il volo verso la Casa Bianca assieme a sua moglie Brigitte, la compagnia di bandiera Air France spegneva i motori. Circa un quarto dei piloti e dell’equipaggio si è messo a braccia conserte per protestare contro il taglio dei salari che va avanti da tanti, troppi anni. L’ondata di scioperi non accenna a finire, i sindacati restano sul piede di guerra: ci sono tutte le premesse per rovinare il primo compleanno del giovane presidente.