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Salvini dica perché non ha voluto Giorgetti al Mef

Se lo stanno chiedendo da ieri sera tutti gli osservatori politici: perché mai Luigi Di Maio e Matteo Salvini non hanno voluto il leghista Giorgetti all’economia? Se l’obiettivo soprattutto del leader leghista era (e rimane) quello di polemizzare con la Ue e sentirsi libero nella politica economica dai condizionamenti imposti al nostro, come agli altri Paesi, dall’appartenenza all’eurozona, non avrebbe potuto lo stesso Giorgetti portare innanzi tale linea politica? Perché Salvini non risponde a questa domanda che in tanti si stanno ponendo? E poi il non aver accolto il suggerimento di Mattarella di nominare a quel dicastero un parlamentare rieletto – peraltro esperto come Giorgetti – non suona come una mozione di sfiducia nei suoi confronti da parte del suo stesso segretario politico?

Se Salvini non rispondesse persuasivamente a questa domanda, o non rispondesse affatto, non dovrebbe poi, a nostro sommesso avviso, arrabbiarsi per le parole di Renzi che gli imputa il suo non aver voluto più governare (con i Cinque Stelle) essendosi accorto di quanto irrealistico fosse il contratto di programma sottoscritto con Di Maio, soprattutto per le coperture finanziarie di alcune proposte (flat tax, reddito di cittadinanza) contenute nel documento.

E perché poi non dovremmo incominciare a pensare che in realtà la mancata nomina di Savona sia stata solo un pretesto perché – oltre alla non dichiarata copertura finanziaria di grandi promesse elettorali – anche altre e molto pesanti sono state (o potrebbero essersi rivelate) le riserve sul programma? Da quelle pubblicamente espresse con forza dal Presidente di Confindustria Boccia nella sua relazione all’assemblea nazionale dei giorni scorsi, alle altre probabilmente molto incisive di tante piccole e medie imprese del Lombardo-Veneto – base storicamente forte del consenso elettorale della Lega – fra le quali il timore di pagare (subito) tassi più alti per il credito bancario ad esse erogato, ha superato la speranza di una riduzione (ma solo in prospettiva) dell’imposizione fiscale con la flat tax.

Diciamoci poi con chiarezza anche altro. Che certi articoli sull’Italia pubblicati sulla stampa tedesca siano apparsi del tutto fuori luogo – e che di conseguenza siano stati duramente contestati ieri sera anche dal Presidente Mattarella nel suo intervento dopo la rinuncia del professor Conte – è sicuramente vero. Ma che c’entra la Germania con il nostro debito pubblico che non riusciamo a ridurre e con la nostra evasione fiscale che non si riesce (o non si vuole) almeno a diminuire? E che c’entra la Germania con la nostra legislazione asfissiante che è uno dei nodi scorsoi che rallentano (sino a strozzarla) la crescita del nostro Paese? E che c’entra la Germania con l’estremismo ecologista del Movimento 5 stelle che, ad esempio, vorrebbe chiudere lo stabilimento siderurgico dell’Ilva a Taranto, trovando peraltro udienza anche nella Lega per la quale probabilmente votano al Nord molti degli utilizzatori dell’acciaio che giunge del capoluogo ionico? E chiudendolo poi – a parte la catastrofe economica locale – non si farebbe un grandissimo favore proprio alla tedesca Thyssen Krupp-Tata, eliminandole dal mercato un temibile concorrente?

Allora non si alzino polveroni con comizi notturni su Facebook. Guardiamoci molto bene e a lungo allo specchio prima di attaccare la Germania alla quale pure dovremo ricordare con chiarezza (e durezza se necessaria) alcune sue responsabilità nella gestione dell’eurozona, puntando a modificarla ma con il consenso di altri Paesi e non con fughe solitarie verso il baratro.

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