L’America può tornare alla Grande Depressione degli anni ’30. A dirlo sono più di 1100 economisti di fama internazionale, che hanno indirizzato al presidente americano Donald Trump una lettera aperta chiedendo di fermare la guerra commerciale con l’Europa prima che sia troppo tardi. L’appello è stato pubblicato dalla National Taxpayer Union (Ntu), potente associazione conservatrice nata nel 1977 che oggi conta circa 362mila affiliati negli States. La lettera a dire il vero non ha nulla di nuovo: gli illustri studiosi, tutti docenti di università statunitensi, hanno infatti spedito alla Casa Bianca la stessa identica missiva che nel 1930 fu recapitata al Congresso.
Allora alla Casa Bianca c’era Herbert Hoover, e i firmatari chiedevano di abolire il Smooth-Hawley Tariff Act, la legge che aveva imposto nuovi dazi su più di 20.000 beni di importazione, causando una catena di contromisure che avevano aggravato la Grande Depressione. Sono passati quasi 80 anni, eppure, si legge nell’appello della Ntu, oggi il pericolo che si corre è anche più grande: “Oggi gli americani fanno i conti con una serie di nuove attività protezioniste, incluse le minacce di ritirarsi dagli accordi commerciali, le malriposte richieste di nuove tariffe in risposta agli squilibri commerciali, e l’imposizione di nuovi dazi sulle lavatrici, i componenti solari e perfino l’acciaio e l’alluminio usati dai lavoratori statunitensi nel manifatturiero”.
Il testo riprende un estratto della lettera al Congresso del 1930 perché, scrivono i nuovi firmatari, “i principi economici fondamentali dell’epoca non sono cambiati”. Così a Trump viene rinnovato il consiglio che i 1028 saggi diedero ad Hoover: “Siamo convinti che un aumento dei dazi protezionisti sarebbe un errore. Aumenterebbero i prezzi che i consumatori sarebbero costretti a pagare. Un più alto livello di protezionismo aumenterebbe il costo della vita e ferirebbe la maggior parte dei nostri cittadini”. E poi ancora: “I Paesi non possono comprare da noi all’infinito, a meno che non sia loro concesso di venderci i loro prodotti, e più restringiamo l’importazione dei loro beni con tariffe più alte più riduciamo le nostre chances di esportare i nostri”. C’è infine un’altra buona ragione per evitare una guerra dei dazi, scrivevano nel 1930 gli economisti, e ha a che fare con la politica estera: “Urgiamo il governo a considerare il rancore che una politica di tariffe più alte inietterebbe inevitabilmente nelle nostre relazioni internazionali”. Un monito ancora valido: “nel 1930 il Congresso non accolse il consiglio degli economisti” scrivono oggi i firmatari, “e gli americani ne hanno pagato il prezzo”.
All’epoca fra i sottoscriventi figuravano nomi di peso come Irving Fisher, Frank Taussig e Paul Douglas. Chi ha apposto oggi la sua firma però non è da meno, anzi. 14 premi Nobel, fra cui un gigante della teoria dei giochi come Alvin Roth, Oliver Hart, Edmund Phelps, Robert Solow, Robert Schiller e poi Richard Taler, Vernon Smith. C’è anche George Akerlof, premio Nobel vinto assieme a Stiglitz grazie alla celebre “teoria dei limoni”, marito di quella Janet Yellen che ha guidato la Fed per quattro anni, per essere sostituita da Trump con la nomina di Jerome Powell. L’estrazione politica di chi ha sottoscritto l’appello è trasversale. Ci sono ex consiglieri presidenziali di George Bush come Gregory Mankiw e Harvey Rosen, fedelissimi di Bill Clinton come Laura Tyson della University of California, e addirittura James Miller, l’ex capo del Budget di Ronald Reagan, un riferimento per Trump.
Non mancano amici personali dell’attuale presidente degli Stati Uniti come Dominick Salvatore, docente alla Fordham University, autore del più venduto manuale di economia internazionale al mondo. E infine, scorrendo la lunga lista di professori che chiede a Trump un armistizio nella guerra dei dazi ci sono anche alcuni italiani. Spiccano fra gli altri Michele Fratianni, professore emerito all’Indiana University, voce molto ascoltata nei palazzi europei. Alberto Alesina, cattedra ad Harvard, esponente di spicco della scuola bocconiana pro-austerity, frequentatore assiduo dei salotti televisivi ed editorialista del Sole 24 Ore. E poi Guido Menzio della University of Pennsylvania, considerata una promessa italiana e inserito nel 2015 fra i 100 economisti più influenti al mondo nella classifica IDEAS – RePEc.