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Trump e Kim, l’appuntamento è saltato del tutto o solo rinviato?

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“Apprezziamo molto il suo tempo, la sua pazienza e i suoi sforzi riguardo ai recenti negoziati e discussioni relativi all’incontro cercato a lungo da entrambe le parti, che era stato fissato per il 12 giugno a Singapore. Eravamo stati informati che l’incontro era stato richiesto dalla Corea del Nord, ma questo per noi è completamente irrilevante. Speravo davvero di poter esserci. Purtroppo, a causa dell’enorme rabbia e dell’aperta ostilità mostrata dalle sue recenti dichiarazioni, sento che sarebbe inappropriato, ad oggi, tenere questo incontro. Perciò con questa lettera le comunico che il summit di Singapore, per il bene di entrambe le parti, ma in maniera dannosa per il mondo, non si farà. Lei parla delle vostre capacità nucleari, ma le nostre sono così grandi e potenti che prego Dio che non dovranno essere mai usate”.

È l’attacco della lettera ufficiale con cui il presidente americano Donald Trump ha comunicato direttamente al satrapo nordcoreano Kim Jong-un che il vertice tra i due leader da tempo programmato salterà (sarà rinviato?). Il motivo ufficiale sono state le ultime sfuriate con cui il regime del Nord ha ricordato la sua potenza nucleare agli Stati Uniti, ma effettivamente, dopo i clamori dei primi giorni, da almeno una settimana chi segue le vicende americana aveva avuto sentore che l’incontro potesse finire a carte quarantotto.

Lo stesso Trump, e con lui altri pezzi da novanta dell’amministrazione (per esempio il segretario di Stato, Mike Pompeo, il cui ruolo nel sistema di potere interno è prominente al momento), avevano fatto capire che non c’era nessuna sicurezza sull’incontro. “C’è una possibilità concreta che il vertice con Kim non si faccia”, aveva detto Trump uscito dal vertice di pochi giorni fa con il sudcoreano Moon Jae-in, che è stato il motore che ha messo in moto quella che fino a poche ore fa era una rincorsa diplomatica sul dossier nordcoreano, e che adesso sta subendo una grossa battuta d’arresto.

A far pensare che la situazione potesse degenerare fino a far saltare il vertice, anche la postura aggressiva che gli Stati Uniti erano tornati ad assumere nei confronti della Cina: Pechino controlla il Nord sufficientemente da giocare come fluidificante su ogni passaggio diplomatico, e cancellare l’invito avanzato a gennaio alla marina del Dragone per la partecipazione a un’esercitazione nel Pacifico è forse una mossa che il Pentagono non avrebbe fatto se il clima non fosse stato già in cambiamento.

Trump aveva riposto molta fiducia nel vertice: un incontro sulla cui riuscita la Casa Bianca aveva riposto un capitale politico, anche a livello internazionale, e lo aveva già celebrato con una prematura moneta commemorativa. Tutto ruota attorno al concetto di denuclearizzazione, ed è possibile che dopo l’incontro con Moon, Trump si sia reso conto che la differenza d’interpretazione sulla questione tra lui e Kim non è solo semantica, ma ha dietro un problema strategico.

Oggi Pyongyang, davanti ai giornalisti internazionali, ha mostrato lo smantellamento-show del reattore di Punggye-ri: per il Nord si tratta di un passo verso ciò che intende per denuclearizzazione, ma è completamente diverso da quel che vuole Trump. Il sito atomico era praticamente inutilizzabile, e Kim ha semplicemente distrutto l’ammasso di residui in cui si sono tenuti gli ultimi test atomici. Il dittatore nordcoreano ha sempre assicurato che non ripeterà altri test, né lì né forse altrove, ma non ha mai dichiarato di voler distruggere immediatamente tutto il suo arsenale funzionante.

Anzi, ha sempre dipinto la Corea del Nord come una potenza nucleare (qual è, d’altronde, ormai) che potrebbe negoziare un denuke graduale se fosse rassicurato dal fatto che anche gli altri attori in campo – ossia, i sudcoreani tramite gli Stati Uniti – abbandonino le armi atomiche. Invece Trump vorrebbe che Kim buttasse via anni di ricerca e tecnologia disintegrando del tutto il suo arsenale immediatamente, ma lasciando che i B-2 americani continuino ad atterrare nelle basi del Sud. Un non-starter per Kim, che forse Moon ha passato al presidente americano e lo ha fatto frenare sulla corsa diplomatica.

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