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La cinese Zte sarà riabilitata da Washington, nell’ambito di un accordo commerciale armonioso

Secondo le informazioni ottenute dal Wall Street Journal, il governo americano sta affinando i dettagli di un deal con cui eliminare le sanzioni precedentemente ordinate contro la Zte, compagnia di telecomunicazioni cinese finita sotto misure restrittive americane per via di rapporti commerciali avuti con Iran e Corea del Nord.

La Zhongxing Telecommunications Equipment (azienda quotata in borsa, ma il cui maggiore azionista è un’impresa statale cinese) era stata sanzionata poche settimane fa perché aveva venduto i propri prodotti sul mercato iraniano e nordcoreano, entrambi off limits secondo le direttive del Tesoro americano: la maggiore delle limitazioni imposte riguardava il divieto di venderle per almeno sette anni materiale tecnologico da parte delle società statunitensi (una misura molto severa, dato che l’azienda di Shenzen dipende dalla componentistica Made in Usa su molte delle proprie linee produttive).

Secondo il WSJ (giornale ineccepibile, e con entrature ben accette nell’amministrazione Trump, non troppo severo con la presidenza, e anche per questo dotato di informazioni anticipate di ottima qualità) in cambio della riqualificazione americana, Zte sarebbe disposta a cambiamenti nel management e al pagamento di alcune multe.

Le stesse informazioni sono state confermate alla Reuters, a cui due fonti anonime hanno spiegato che l’accordo sulla Zte è parte dei colloqui commerciali che da settimane stanno occupando membri delle delegazioni americana e cinese.

Di più: per riabilitare il business della sua seconda maggiore azienda di telecomunicazioni, Pechino avrebbe accetto di alleviare i dazi precedentemente alzati sui prodotti agricoli statunitensi – e di aumentarne l’import, un accordo basata per il momento “su una stretta di mano”, dice una delle fonti dell’agenzia, che c’è stata la scorsa settimana a Washington tra il segretario americano, Steven Mnuchin, e Liu He, messo presidenziale cinese con ampi incarichi economici.

Dopo l’annuncio sulle sanzioni a metà aprile, all’inizio di maggio era stato per primo il presidente Donald Trump ad avviare il cambio di rotta su Zte, diventata un simbolo del confronto commerciale a tutto campo tra i due Paesi. Trump annunciò su Twitter che la società cinese avrebbe dovuto “riprendere gli affari, in fretta”, dicendo che il divieto avrebbe comportato un costo eccessivo in termini di posti di lavoro in Cina.

L’uscita di Trump si legava anche a una necessità: i delegati cinesi avevano posto la vicenda della Zte come un punto imprescindibile durante i colloqui commerciali tenuti all’inizio del mese a Pechino – se le sanzioni fossero rimaste, i negoziati sull’enorme questione commerciale bilaterale non sarebbero nemmeno iniziati, minacciavano i funzionari mandati dal presidente Xi Jinping (per i cinesi si tratta anche di una questione di orgoglio: le sanzioni che hanno paralizzato la Zte hanno esposto pubblicamente la dipendenza della Cina dalle importazioni di tecnologie chiave, problema profondo che Xi intende risolvere con un piano programmato entro il 2025).

Adesso la fase della minacciata guerra commerciale sta rientrando. Nel fine settimana passato è stata annunciata una bozza ipotetica di intesa: Washington e Pechino hanno entrambi rivendicato la vittoria nei colloqui commerciali lunedì, mentre le due maggiori economie mondiali hanno fatto un passo indietro nel confronto commerciale globale e hanno accettato di tenere ulteriori colloqui per aumentare le esportazioni statunitensi verso la Cina.

Ora Cina e Stati Uniti stanno muovendo i proprio negoziatori per cercare di affinare l’accordo che permetterà a Pechino di mantenere intatto il proprio sistema economico, e alla Washington trumpiana di portare a casa un successo da appuntare sulla bacheca dell’America First. Per esempio, l’accordo su Zte potrebbe diventare un gallone per Wilbur Ross, segretario al Commercio che la prossima settimana sarà a Pechino per continuare a trattare le relazioni future con la Cina.



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