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Perché sono inutili gli allarmismi di Boeri sul rapporto tra immigrati e pensioni

Boeri

Quando Tito Boeri si lamenta della riduzione dei flussi migratori, facendo arrabbiare Matteo Salvini, dice una sonora sciocchezza. In Italia stanno diminuendo solo i flussi migratori irregolari. Sperando che questa tendenza si accentui per il futuro. Perché questa è la premessa per avere flussi immigratori virtuosi. Ossia controllati e forieri di contribuire all’equilibrio futuro del sistema pensionistico italiano, che ha bisogno di accrescere la platea degli occupati regolari – che siano immigrati o meno conta poco – che pagano le tasse e i contributi sociali.

Di quella massa di sbandati che chiedono l’elemosina – quando va bene – di fronte ad ogni esercizio commerciale, l’Italia non sa che farsene. Non sono una risorsa, ma rappresentano un costo che grava sulle tasche dei cittadini. E non pensiamo solo alle sovvenzioni, ma a quel complesso di oneri indiretti – dai vari centri in cui sono collocati, fino alle accresciute misure di sicurezza, per non parlare della logistica in mare – che pesano enormemente sulle scarse risorse nazionali, indispensabili per far fronte alle altre grandi emergenze del Paese.

Ma c’é di più. I flussi clandestini producono gli effetti più negativi proprio nei confronti degli immigrati regolari, che lavorano e producono nel nostro Paese. La tendenza a fare di ogni erba un fascio diventa inevitabile, quando la paura incide sul senso comune. Che non è un prodotto della Lega – come continuano a ripetere alcuni dirigenti del Pd – ma deriva dalla difficoltà oggettiva di regolamentare un fenomeno così complesso, come quello dell’immigrazione irregolare. La cui dimensione, nelle fragili strutture produttive italiane, determina fenomeni di entropia. In cui il caos diventa l’elemento dominante.

Ne deriva, pertanto, che il primo problema è quello di fermare sbarchi non voluti. Solo così si potrà pensare alla fase construens: organizzare flussi regolari di immigrati in sintonia con le necessità del mercato del lavoro italiano. E quindi rispondere all’esigenza continuamente richiamata dal presidente dell’Inps. Possibilmente a partire da coloro che sono già presenti sul territorio nazionale. Quelle 600 mila persone, secondo le stime, che sono sparsi un po’ ovunque. Molti dei quali andranno, se possibile rimpatriati – ipotesi non semplice – ma una parte rimarrà stanziale.

Basterebbero questi elementi per controbattere gli allarmismi di Boeri. Un andamento favorevole degli andamenti demografici è solo una precondizione ai fini del futuro equilibrio dei conti della previdenza. Se il maggior numero di residenti non si trasforma in una più elevata occupazione regolare, il teorema iniziale si rovescia nel suo contrario. In questo caso, come insegnava Alfred Sauvy, famoso demografo e sociologo francese, il costo della maggiore disoccupazione grava sul benessere collettivo, riducendo lo spazio finanziario per pagare le stesse pensioni. Ne avremo presto la dimostrazione, quando si tratterà di discutere dell’eventuale salario di cittadinanza.

Ma accanto ai problemi di natura demografica, vi sono altri elementi che interferiscono nel puzzle previdenziale. Conta, ad esempio il tasso di sviluppo, quindi la crescita della produttività, oltre agli andamenti del mercato del lavoro. Sia in valore assoluto che nella loro composizione di genere. Come ha agito finora la mancata governance dei fenomeni immigratori? L’Europa sta vivendo una situazione drammatica, fino al rischio della sua possibile implosione. La stessa borsa sta reagendo malamente, nel timore che si possa giungere ad un punto di non ritorno. Problemi immediati che dovrebbero preoccupare maggiormente il presidente dell’Inps. Che invece guarda solo lontano. Con il rischio di cadere nel burrone che si è aperto sotto i piedi degli italiani.


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