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Così Confindustria spegne i sogni economici di Salvini e Di Maio

Il vento del cambiamento per Movimento Cinque Stelle e soprattutto Lega, sarà anche a favore. Ma quello della ripresa soffia decisamente contro. Almeno a dar retta a Confindustria il cui Centro Studi guidato da Andrea Montanino ha presentato questa mattina il rapporto di previsione Dove va l’economia italiana. Già, dove? Il timore che le cose si stessero mettendo di traverso per il governo gialloverde era già emerso a fine maggio (il governo era ancora in gestazione), quando in un’infuocata assemblea (qui l’approfondimento di Formiche.net) gli industriali avevano invitato il nascente esecutivo a non sottovalutare i segnali nefasti che si intravedevano all’orizzonte.

Oggi quel timore è diventato qualcosa di reale, da toccare con mano. Sì, nei prossimi due anni l’Italia crescerà meno del previsto, tornando a quell’anemia che in questi anni è diventata una specie di demone oscuro per i vari governi, Pd o non Pd. Quest’anno il Pil aumenterà dell’1,3% contro una crescita dell’1,5% registrata nel 2017. Nel 2019 il prodotto interno lordo frenerà ulteriormente al +1,1%. Perché tutto questo?

Secondo Confindustria i fattori di blocco alla crescita dell’Italia hanno nome e cognome. “Pesa – ha spiegato Montanino – l’incertezza internazionale e nazionale, dai dazi Usa frutto delle politiche protezionistiche di Trump, all’instabilità geopolitica, alle turbolenze dei mercati finanziari in alcuni Paesi emergenti fino all’avvio della legislatura italiana”. Un cocktail micidiale in grado di stroncare anche il tradizionale polmone dell’economia italiana, l’export, che già in questa prima parte del 2018 ha mostrato segni di sofferenza. “Stiamo osservando un rallentamento degli scambi mondiali che si ripercuote sull’export italiano”.

Attenzione però perché gli allarmi rossi giunti questa mattina da Viale Dell’Astronomia non si si esauriscono con i dati sul Pil. Per Matteo Salvini e Luigi Di Maio, azionisti del governo Conte, la cattiva notizia è un’altra. Precisamente questa. Per il 2018 l’indebitamento è previsto all’1,9% del Pil  e all’1,4% nel 2019, al di sopra dei target del governo condivisi con l’Europa con l’ultimo Def. Tradotto aumenta il rapporto deficit/Pil, che per l’esecutivo gialloverde rappresenta proprio quel terreno su cui impostare la trattativa con Bruxelles al fine di ottenere l’ok ad alcune misure del contratto. Se peggiora il rapporto diminuisce lo spazio di manovra per fare, ad esempio, il reddito di cittadinanza, rilanciato proprio ieri dallo stesso capo politico del 5 Stelle. Insomma, per dirla con Montanino “non si può fare tutto e subito perché la situazione dei nostri conti non ce lo permette”.

Di più, molto di più. Ammesso e non concesso che il governo legastellato riesca a trovare le risorse per finanziare reddito e flat tax senza sforare un deficit come appena detto già a rischio stress, ebbene quei soldi servirebbero ad allestire una manovra. Attenzione, non quella d’autunno, la famosa Legge di Bilancio, ex finanziaria, ma una manovra bis, correttiva. Insomma, una specie di extra ma a caro prezzo. Per Confindustria non ci sono scorciatoie, servono nove miliardi per una mini correzione in corsa dei conti. Quest’anno sarebbe di 0,5 punti di Pil, pari a 9 miliardi mentre nel 2019 la correzione dovrebbe essere di 0,6 punti, quasi 11 miliardi.

Qualcuno dovrà spiegarlo a Salvini e Di Maio che molte delle misure contenute nel contratto sono al momento irrealizzabili. Anche perché, nozione di diritto costituzionale, tra i poteri del presidente della Repubblica rientra quello di non sottoscrivere leggi prive della relativa copertura finanziaria. Allora, per concludere, forse aveva davvero ragione Giovanni Tria, ministro dell’Economia, a fare del realismo finanziario il sale della sua azione di governo. Come a dire, voliamo basso.



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