Il governo italiano ha un piano Russia First da presentare al Consiglio europeo che inizia oggi: potrebbe evitare opposizioni o veti sul rinnovo delle sanzioni alla Russia, ma metterà sul piatto la proposta per il ripristino dei finanziamenti alle piccole e medie imprese da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers).
Fonti “interne alle strutture Ue” che hanno anticipato la notizia al quotidiano economico più importante in Russia, il Kommersant, dicono che le imprese a cui l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte vuole dare aiuto sono quelle “a forte componente di società civile”. Si torna sull’argomento, dunque, come per esorcizzare lo scivolone di ieri e di qualche settimana fa, quando il premier indicava “la società civile” russa come la vittima delle sanzioni occidentali – dimenticando che l’eventuale vittima dell’avventurismo crimeano di Vladimir Putin che nel 2014 ha portato a quelle sanzioni e alla sospensione dei finanziamenti che adesso Roma vorrebbe reintrodurre è la società civile, sì, ma ucraina.
In un momento così delicato delle relazioni tra Russia, Europa e Stati Uniti, non si capisce come mai il governo italiano senta l’esigenza di questo genere di scatti in avanti, per niente graditi a Bruxelles (fronte Ue e Nato) e Washington, che nell’ottica storica sono i riferimenti cardine della politica internazionale dell’Italia, e che con la Russia chiedono “dialogo e fermezza”, per dirla come il precedente presidente del Consiglio italiano, Paolo Gentiloni.
Ora, interessante sarebbe anche capire come mai questo governo che si professa Italy First cerchi di smuovere posizioni europee per aiutare le piccole e medie imprese russe e non quelle italiane (si dirà, perché così, per riflesso, potrebbe aumentare il lavoro delle nostre? Ma siamo certi che c’è tutta questa mole di attività collegate? Oppure è un modo per aiutare i russi a casa loro? Chissà…); ma la questione è ancora più ampia.
Il contesto è complesso – e va al di là della visita del drago putiniano Alexander Dugin ai circoli russo-bruni italiani (impegnati nei giorni scorsi nel propagandare il suo nuovo libro), ai quali ha affidato il grande messaggio dell’internazionale populista di cui la Russia è diventata riferimento globale: questo è il momento e il luogo in cui inizia “la grande rivoluzione anti-liberale”, come ha detto a Linkiesta, mentre invitava a guardare al lavoro già fatto dal ministro degli Interni, Matteo Salvini, che “in un mese ha creato un terremoto all’interno dell’Ue”.
Andiamo oltre. La Bers ha smesso d’investire in Russia dopo l’introduzione delle sanzioni da parte dell’Ue e degli Stati Uniti nel 2014, per l’annessione della Crimea e poi per il coinvolgimento nel conflitto nel Donbas, anche se la misura è scorporata dal pacchetto sanzionatorio. Spiega l’Agi che “il congelamento del lavoro della Bers ha colpito anche gli investimenti non legati a compagnie statali”. Ma per l’Italia questo sistema punitivo è eccessivo e va contro l’intenzione originale dell’Ue, fa notare il Kommersant.
È stato anche l’ambasciatore italiano a Mosca, Pasquale Terracciano, a confermare al quotidiano russo che il governo Conte intende muoversi per far riprendere il lavoro della Bers in Russia, senza spiegare però se Roma ne vorrà parlare durante il Consiglio europeo: “Per noi si tratta di un’iniziativa prioritaria, che cercheremo di portare nei negoziati il prima possibile”.
Per il diplomatico italiano, l’iniziativa italiana mira a migliorare le relazioni politiche, attraverso il rafforzamento dei legami economici ed è pienamente in linea con “il quinto principio della nuova strategia Ue per i rapporti con la Russia”, documento del 2016 con cui Bruxelles intende “promuovere lo sviluppo della società civile russa”.
Secondo Terracino il piano italiano ha perfettamente senso, perché la crescita delle piccole e medie imprese russe è “prerequisito per lo sviluppo della società civile e un passo importante verso la creazione di un sistema economico più simile a quello europeo (oggi le compagnie statali costituiscono l’80% del Pil)”.
Su questo slancio italiano verso Mosca, è stato il consigliere della Bers in Europa orientale e Caucaso, Anton Usov, a mettere un punto: sul Kommersant ha commentato che quella visione non è nient’altro che “l’opinione personale dell’ambasciatore d’Italia presso la Federazione russa. Ufficialmente questa questione non è stata sollevata”.
Nella lettera d’invito al vertice di oggi, il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha scritto che prima del termine della sessione di lavoro di giovedì del vertice Ue, “la cancelliera Merkel e il presidente Macron faranno il punto sull’attuazione degli accordi di Minsk” da parte della Russia.
È una prassi semestrale prima del rinnovo delle sanzioni, con Berlino e Parigi che pur mantenendo contatti aperti con Mosca – mentre tra poche settimane toccherà a Donald Trump vedere Putin, Merkel e Macron lo hanno già incontrato negli ultimi mesi – non vogliono al momento cambiare troppo la linea. Anche perché, sugli accordi di Minsk, che sono l’intesa di deconflicting che la Russia ha sottoscritto tre anni insieme all’Ucraina e ai leader separatisti, Mosca non ha fatto niente per l’implementazione pratica.