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Perry ospita Novak: ecco l’agenda densa dei colloqui russo-americani sull’energia

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Il ministro dell’Energia della Russia, Alexander Novak, ha confermato che incontrerà l’omologo degli Stati Uniti, Rick Perry, domani, martedì 26 giugno, a Washington: “Ci incontreremo durante una conferenza sul gas naturale (la World Gas Conference, ndr) nell’ambito del summit della Cooperazione economica Asia Pacifico (Apec)”, ha detto Novak citato da Sputnik, sito controllato dal governo russo che diffonde in diverse lingue la linea del Cremlino.

Si parlerà di cooperazione bilaterale, ha spiegato il russo, e dunque di mercato del gas e, con ogni probabilità, di quello del petrolio, anche se non ci sono argomenti ufficialmente fissati. Ricostruire il contesto temporale è fondamentale per avere un quadro. Novak e Perry si incontrano in un momento in cui il presidente americano Donald Trump ha rinnovato la spinta verso Mosca: per Trump il suo pari Vladimir Putin è un interlocutore fondamentale con cui gestire l’ordine mondiale, pressa per un incontro imminente (si terrà, è già pianificato, mancano solo i dettagli che saranno decisi nei prossimi giorni), anche se la sua amministrazione tiene una linea dura, ferma con Mosca.

Ma c’è anche il contesto energetico da tener presente: pochi giorni fa, la Russia, muovendosi in accordo con l’Arabia Saudita, è riuscita a far accettare all’Opec – organizzazione guidata di fatto da Riad, ma con le sue criticità interne – un aumento delle produzioni di petrolio (la quantità dovrebbe essere intorno al milione di barili al giorno).

La decisione è stata frutto di una mediazione serrata con l’Iran – dove i russi hanno avuto il ruolo di interlocutori visti i problemi tra Teheran e Riad – che non avrebbe voluto subire l’abbassamento dei prezzi (conseguenza ovvia dell’aumento delle produzioni), perché sa che il suo greggio è soggetto alle sanzioni americane, reintrodotte da quando Washington è uscito dal deal sul nucleare. Pure l’Iraq, che ha fatto toccare a maggio livelli record di esportazioni con il petrolio venduto in media a 69,8 dollari al barile, non era troppo propenso a toccare le quote, ma anche in questo caso la Russia ha giocato il proprio peso geopolitico, diventato prominente tra i paesi mediorientali da quando è entrata in Siria, salvato il regime e trasformato il paese una specie di propria enclave nella regione.

Per il momento, nonostante il ruolo centrale che il tandem ha avuto sia in queste ultime vicende che quando un paio di anni fa si decise di bloccarle le produzioni, l’asse russo-saudita ha un carattere informale. I primi non fanno per ora parte dell’Opec, e dunque non hanno potere pratico decisionale, però è possibile che sotto l’influenza del regno, l’Organizzazione si allarghi formalmente; il cosiddetto sistema Opec+.

A quel punto la Russia potrebbe trovare spazi, non solo per l’inserimento, ma anche perché si parla della possibilità di introdurre una nuova formula di voto operativo proporzionale alle produzioni – e la Russia è il secondo più grande produttore di petrolio al mondo dopo l’Arabia Saudita. In questa nuova organizzazione, inoltre, potrebbero trovare spazio anche gli Stati Uniti, ed ecco perché i contatti di domani tra Novak e Perry si sposteranno facilmente dal gas al greggio, che Washington estrae dagli shale, per lungo tempo combattuti dai paesi Opec e ora sdoganato sotto il peso della potenza con cui l’America è diventata esportatrice e non più solo consumatrice di gas naturale e petrolio (esportazioni del 2017 aumentate di quattro volte sul 2016).

Russia e Stati Uniti, per questo, sono però in competizione per la vendita di prodotti energetici in Europa. Per esempio, un caso di enorme confronto è il gasdotto Nord Stream, che secondo i piani russi dovrebbe essere raddoppiato (Nord Stream 2 è il nome del progetto) per rendere ancora più efficiente l’approvvigionamento europeo da nord, dalla Germania. Washington ha avvisato Berlino che detesta il progetto, lo ritiene una mossa con cui i russi penetreranno ancora di più l’Ue e con cui scavalcheranno l’Ucraina togliendole il peso politico legato alla presenza delle linee di approvvigionamento del gas, premessa utile a Mosca per chiudere lo scacco sul paese.

L’infrastruttura è osteggiata dagli Stati Uniti fin dai tempi dell’amministrazione Obama. Ma ultimamente gli americani hanno cambiato linguaggio: hanno fatto sapere che aderire al progetto significherebbe rischiare di incappare in sanzioni statunitensi (perché è portato avanti da ditte europee in accordo con la russa Gazprom e dunque potrebbe violare le misure prese dopo l’annessione della Crimea), e poi è stato il presidente Trump a offrire apertamente alla collega Angela Merkel il gas naturale che gli Usa trasporterebbero liquefatto (Gnl) attraverso l’Atlantico – un business già avviato con Polonia e Lituania, che gli americani vendono, anche se a prezzo più costoso, sottolineando che i prezzi del Gnl sono più stabili e affidabili.

La questione energetica è un’altra di quelle che ricorda quanto sia tosta l’agenda tra Russia e Stati Uniti, in mezzo ai contatti.


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