Blockchain, criptovalute, smart contracts, mining, ICO. In molti Paesi europei e asiatici, per non parlare degli Stati Uniti, questi nomi sono entrati a far parte del linguaggio comune. In Italia no, o meglio non ancora. Qualcosa si sta muovendo, c’è chi mette a disposizione le proprie competenze per scrivere, illustrare, in una parola divulgare su un tema che, nolenti o volenti, sarà presto il pane quotidiano per i cittadini di un Paese sviluppato. Quando il giornalismo si fa snob gli imprenditori devono entrare in campo. Così hanno fatto Massimo e Andrea Tortorella, rispettivamente presidente di Consulcesi e ceo di Consulcesi Tech, hi-tech company specializzata in soluzioni all’avanguardia per Blockchain e criptovalute, autori del libro “Cripto-svelate: Perché da blockchain e monete digitali non si torna indietro” (Paesi edizioni). Il volume, che vanta contributi di cyber-esperti, hacker, avvocati, giornalisti e nomi noti non solo nel settore come il presidente della Casaleggio Associati Davide Casaleggio, è stato presentato martedì alla Link Campus assieme a Edward Luttwak, che ha curato la prefazione, Antonio Maria Rinaldi, l’inviato del Corriere della Sera Massimo Gaggi e il presidente della Link Campus Enzo Scotti.
GLI IMPRENDITORI PARLANO, LA POLITICA ASCOLTA ( E SUSSURRA)
Nel titolo c’è già il senso dell’opera. Svelare, rendere accessibile al grande pubblico la rivoluzione digitale e le sue conseguenze pratiche sulla vita di tutti i giorni, spezzare l’autoreferenzialità degli addetti ai lavori che è origine e conseguenza della disinformazione che dilaga sul tema. Non si esagera, quella della blockchain è davvero una rivoluzione. Un database virtuale e pubblico, un “libro mastro” costruito dai nodi di una catena (chain) di informazioni condivise da un insieme di soggetti. Informazioni criptate, per l’appunto, ma anche più sicure perché il sistema garantisce l’identità digitale di chi partecipa agli scambi informativi.
Nell’aula della Link Campus, a riprova dell’attualità e dell’interesse che suscita l’argomento, c’era anche la politica ad ascoltare. In prima fila, penna alla mano e sguardo assorto, c’erano volti noti come Kalid Chaouki, già parlamentare dem, ora presidente della Moschea di Roma, e il segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa. E poi Massimo D’Alema, tutto concentrato sulla blockchain, di cui ha discusso in un recente forum a Pechino, ma non per questo alienato dall’attualità politica. A inizio incontro, fra una stretta di mano e l’altra, si è lasciato andare con il suo amico Luttwak a una battura sulla debàcle dei colleghi dem ai ballottaggi: “Il Pd è finito, D’Alema è infinito”, ha sussurrato con un sorriso.
BLOCKCHAIN, UNA RIVOLUZIONE (BUONA)
Poi l’apertura dei lavori. Non prima di un sussulto d’orgoglio di Scotti, per un’università nata nel 1999 con un’impronta marcatamente umanistica e negli anni divenuta una “research university”, luogo di incontro fra scienza, studi strategici, politologia, diritto, economia, perché “non c’è formazione se non c’è prima ricerca”. Ma andiamo al punto. Perché la blockchain è una rivoluzione e come mai è ancora un oggetto misterioso agli occhi dei più? “Noi conosciamo la blockchain come la tecnologia dietro al funzionamento delle criptomonete, ma è molto di più” ha spiegato Luttwak. “Permette di pagare le tasse, digitalizzare un titolo di proprietà impedendo che venga falsato, firmare un contratto senza che venga certificato da una figura terza”. Insomma, è uno strumento di connessione diretta, senza intermediazioni. Nelle parole dello stratega del Maryland, “è la soluzione al problema della permanenza, dà a tutti la possibilità di essere digitali senza dipendere da un’elettronica che scompare quando viene spento il computer”.
Le applicazioni sono varie, a volte impensabili. Tra le più scontate c’è la messa in sicurezza dei portafogli elettronici, la riduzione dei costi operativi, l’elaborazione di un metodo più efficace dei pagamenti. In poche parole, ha scherzato Luttwak, “la blockchain sostituisce le funzioni di una banca, per questo le banche sono restie a parlarne” (ma a dire il vero Banca d’Italia ha un tavolo dedicato da due anni). E poi ancora l’impatto sul mondo alimentare e perfino delle charities. “se decido di donare 100 euro a un’associazione so esattamente dove vanno, quanta parte del denaro viene utilizzata dall’associazione, cosa viene acquistato con quei soldi”. Una nuova forma di tracciabilità digitale con conseguenze tutt’altro che irrilevanti nella lotta alla corruzione e nel management della P.A.
ALTRO CHE BANCONOTE: I BITCOIN SONO PIÙ AFFIDABILI
L’applicazione più famosa della blockchain, abbiamo detto, è il sistema sotteso alle criptovalute. I bitcoin, nati come valuta indipendente nel 2007, sono solo una delle tante monete in circolazione: Litecoin, Ripple, Bitcoin Cash, Monero, ce ne sono più di mille. Una parte del mondo mediatico, diciamolo, li ha già demonizzati. Uno spauracchio comunemente agitato è il riciclaggio dei bitcoin online. Che però alla prova dei fatti è impresa assai ardua, nulla a confronto con le classiche banconote. “Si è parlato a sproposito di riciclaggio dei bitcoin” ha chiosato Massimo Tortorella, “ma il bitcoin ha una caratteristica che la moneta classica non ha: la certezza identificativa”. Il “grande libro aperto contabile” della Blockchain impedisce che le cripto-monete vengano rubate o spese più di una volta. Regolamentare, possibilmente consultando i privati con anni di esperienza alle spalle, è cosa buona e giusta. 50 Paesi, dagli Usa all’Australia passando per Taiwan, la Turchia e il Vietnam, hanno già adottato sistemi di controllo per far convivere le criptomonete e la valuta nazionale. Fra questi non c’è l’Italia, che deve segnare un altro ritardo nell’agenda digitale. Una sfida avvincente, fra le tante, per chi avrà in questi anni la responsabilità di governo.