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La chiesa e i migranti. Il caso Aquarius visto dai cattolici

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Tempo fa, durante un’udienza del mercoledì in aula Paolo VI, il presidente di una delle Ong impegnate al tempo nel salvataggio dei migranti, Open Arms, donò a Papa Francesco un giubbotto salvagente arancione, di quelli che indossano i migranti quando vengono soccorsi, a volte anche durante le traversate, non sempre purtroppo. Che fine avrà fatto quel giubbotto? La risposta l’ha data qualche settimana fa uno dei due religiosi che in Vaticano lavorano nella sezione per i migranti nella congregazione per lo sviluppo umano integrale, sezione che il papa presiede personalmente. Durante una riunione con i due collaboratori il papa si è alzato, è andato nella sua stanza e poi è tornato indossando quel giubbotto, per dire che oggi la priorità nel breve è salvare vite umane.

È facile immaginare lo stato d’animo dell’uomo Jorge Mario Bergoglio in queste ore. Ma neanche questo basta a rallentare i battiti di tanti suoi devoti che hanno letteralmente sommerso il suo account twitter con richieste urgenti di intervento davanti al caso Aquarius. “Io spero che i cristiani si rivoltino contro chi ha giurato sul Vangelo tenendo un rosario tra le dita e ora gioca cinicamente con la vita dei bambini”, scrive uno. “A questi vanno chiuse le porte delle Chiese”, aggiunge un altro, e così via, per tantissimi post che invocano scomunica, azione, interventi subito: “santità per favore intervenga. Credo nella laicità dello stato ma in questo momento spero nella parola del papa”. Sarebbe troppo lungo dar conto di tutto, come sarebbe troppo lungo dar conto delle critiche anche feroci che sempre su twitter sono stati indirizzati al cardinale Ravasi che ha scritto, modificando il Vangelo: “ero straniero, non mi avete accolto”.

Non poteva che generare rabbia verso i cattolici e tra i cattolici stessi la vicenda della nave Aquarius, alla quale l’Italia si rifiuta di aprire le porte per quanto a bordo ci siano più di cento minori non accompagnati e sette donne incidente, come è noto da ieri sera. E ieri sera, appena si è saputo dello sviluppo a causa del rifiuto di Malta, primo porto sicuro, di far attraccare la nave con gli oltre 600 disperati a bordo, la sezione del Servizio dei Gesuiti ai Rifugiati, il Centro Astalli, ha scritto: “Il Centro Astalli chiede: – Nell’immediato che venga autorizzato l’arrivo dei migranti in un porto sicuro e che vengano tempestivamente apportate le cure necessarie ai migranti, le cui nazionalità indicano che si tratta per lo più di persone in fuga da guerre, persecuzioni, crisi umanitarie e regimi dittatoriali.- Nel medio periodo che vengano attivate vie legali d’ingresso per chi ha diritto a chiedere asilo in Europa attraverso programmi di reinsediamento che prevedano il coinvolgimento responsabile di tutti gli stati membri dell’Unione Europea e la riattivazione di quote d’ingresso per lavoratori stranieri che permettano di coprire il fabbisogno di manodopera in Italia e infliggano così un duro colpo al lavoro nero e al traffico di esseri umani. Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli, ha aggiunto che “se l’Italia antepone dimostrazioni di forza e di peso politico alla vita dei migranti è chiaro che umanità e dignità delle persone divengono secondari rispetto al tutto il resto.

Abbandonare innocenti in mare non può mai considerarsi una strategia politica ma rimane inequivocabilmente una grave violazione dei diritti umani di cui l’Italia sarà chiamata a rispondere.” Poche ore ed è arrivato la presa di posizione netta della Comunità di Sant’Egidio: “Di fronte al caso della nave Aquarius, bloccata nel Mediterraneo con 629 profughi a bordo, l’Italia deve restare ancorata ai principii di umanità che sono nella sua tradizione, a partire dal dovere di salvare le vite umane in pericolo, così come ha fatto negli ultimi anni di fronte ad una delle più grandi tragedie di inizio millennio: la morte in mare e nel deserto africano di migliaia di persone, tra cui molti bambini, in fuga dal Sud del mondo verso l’Europa.

La Comunità di Sant’Egidio chiede di continuare a salvare e, al tempo stesso, invita i Paesi dell’Unione Europa ad assumere la loro responsabilità: le navi, come l’Aquarius, possono attraccare nei porti italiani o in altri porti del Mediterraneo, ma i differenti Stati europei, non solo l’Italia o la Grecia, dovrebbero condividere l’accoglienza facendosi carico, ognuno, di una quota di profughi. Il ricollocamento immediato di chi chiede asilo – come già sperimentato – alleggerirebbe l’impegno del nostro Paese e faciliterebbe l’integrazione che, occorre ricordarlo, è la più grande sfida vissuta attualmente dall’Europa alle prese con l’immigrazione. Interventi più incisivi e di lunga durata nei Paesi di origine dei migranti aiuterebbero ad affrontare il fenomeno alla sua radice insieme alla riapertura di vie di ingresso regolare per motivi di lavoro, dato anche il preoccupante calo demografico in atto in Europa e in Italia.”

Intanto la Caritas, che in materia è voce autorevole per la Cei, ha deciso di annunciare proprio oggi la sua iniziativa “condividiamo il viaggio”. Non c’è bisogno di dire che la scelta di non rinviare di qualche ora un’iniziativa certamente programmata da tempo e relativa al lancio di iniziative in programma dal prossimo 17 giungo non è di certo casuale. Si può dunque pensare che il professor Andrea Grillo, docente al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, interpreti bene gli umori profondi di un certo mondo scrivendo: “puoi chiudere una valle, non puoi chiudere un porto. Applicare ai porti l’immaginare padano genere mostri.”



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