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Cosa resta dell’Occidente dopo il G7? Il dibattito negli Usa

Il vertice del G7 canadese è stato, come molti commentatori osservano, emblematico delle spaccature interne al sistema occidentale; quello che dall’Europa attraversa l’Atlantico verso Stati Uniti e Canada. Carl Bildt, diplomatico svedese conservatore, ex primo ministro e capo della diplomazia, e co-presidente dell’European Council on Foreign Relations, fotografa la situazione con un tweet caustico riprendendo la famosa immagine diffusa dalla delegazione tedesca, a sua volta fotografia di quelle spaccature (pure se le immagini, e le letture collegabili, sono state diverse). “This was once the West“, questo un tempo era l’Occidente.

Uno dei passaggi centrali, simbolici, è stata la decisione istintiva dell’americano Donald Trump di non aderire al classico comunicato congiunto (limato per ore dagli sherpa delle varie delegazioni) che chiude sugli intenti comuni certi vertici, a cui aveva dato via libera poche ore prima. Trump ha fatto sapere del dietrofront statunitense con un tweet quando aveva già lasciato Charlevoix (sede dell’incontro, in Quebec) mentre era in volo sull’Air Force One, indignato per le parole usate in conferenza stampa da Justin Trudeau, primo ministro canadese e ospite del summit, che a sua volta s’era detto offeso perché Washington aveva giustificato la decisione di alzare dazi su acciaio e alluminio dal Canada come una necessità per la sicurezza nazionale.

E come, dice semplificando Trudeau, possibile che noi, da sempre fedeli alleati, ora siamo diventati un problema per la sicurezza americana? Il più famoso dei giornali canadesi, il Globe and Mail, dedica al fatto un fondo non firmato, e dunque espressione pura della linea editoriale, quella che crea opinione, e scrive: “La decisione di Donald Trump di ritirare la sua firma sul comunicato del summit del Charlevoix G7 rappresenta una delle più flagrant (sbagliata, o immorale, ndr) crisi di sempre prodotta e perpetrata da un’amministrazione americana contro un alleato”.

Trump è stato “ingiurioso” quando ha definito Trudeau “debole e disonesto”, scrive GaM, ma forse peggio di lui hanno fatto i suoi uomini. Ieri – domenica, giorno in i media all news americani mandano in onda i più importanti programmi di approfondimento e ospitano i big della politica – il capo dei consiglieri economici della Casa Bianca ha detto in diretta a “State of the Nation” della CNN che la tempistica dei commenti di Trudeau era chiara: “Ci stava pugnalando alle spalle”.

Trudeau in fin dei conti non aveva fatto altro che prendere una posizione simile a quella di Trump, ossia aveva detto che se gli Stati Uniti avrebbero continuato con i dazi, il Canada avrebbe risposto con misure adeguate, ma per Larry Kudlow il problema è stato nei tempi e per questo il presidente americano, che mentre il canadese parlava aveva lasciato il G7 per mettersi in viaggio verso Singapore dove è previsto l’incontro con Kim Jong-un, l’ha presa come “un tradimento”. Addirittura, secondo Kudlow, l’uscita di Trudeau rischia di far arrivare Trump al meeting con Kim indebolito.

Poi su “Fox News Sunday” ha parlato, se possibile più colorito, anche Peter Navarro, falco che Trump ha messo alla direzione di un ufficio speciale che regola il commercio (e dunque mano dietro ai dazi contro gli alleati): “C’è un posto speciale all’Inferno per qualsiasi leader straniero che si impegna in una diplomazia fatta di cattiva fede con il presidente Donald Trump e poi cerca di pugnalarlo alle spalle mentre esce dalla porta”.

Sempre sulla CNN è toccato a Dianne Feinstein, democratica dalla California, ranking member della Commissione giustizia del Senato, che ovviamente la vede nel modo opposto: “Non è stato solo contro Trudeau. Questo è [un attacco] contro i nostri migliori alleati […] Non firmare una dichiarazione congiunta, che rappresenta tutto ciò che rappresentiamo, è un grosso errore”.

Il carico sull’attacco a Trump ce l’ha messo anche il senatore repubblicano John McCain, uno che gode di un enorme consenso, è molto ascoltato sia tra il popolo che tra le élite e che adesso gode di un’aurea addizionale dovuta alla malattia terribile da cui è afflitto (McCain è un leone, ha un cancro al cervello, ma continua con spirito e lucidità a fare politica). Su Twitter ha scritto: “Ai nostri alleati: le maggioranze bipartisan degli americani rimangono un commercio libero, pro-globalizzazione e sostegno di alleanze basate su 70 anni di valori condivisi”, un’uscita che muove le folle chiusa con un: “Gli americani stanno con voi, anche se il nostro presidente no”. Boom.

Lo stesso vale per gli europei, ça va sans dire, colpiti a loro volta dall’atteggiamento America First trumpiano. “Il Canada non era l’unico obiettivo” ha raccontato al New York Times un funzionare europeo presente agli incontri: pare infatti che durante le sessioni a porte chiuse del venerdì, Trump sia andato in giro per la stanza in cui erano riuniti tutti i leader dichiarando i modi in cui ciascuna delle nazioni aveva “maltrattato gli Stati Uniti”.

“Dobbiamo essere seri e rispettosi delle persone che rappresentiamo. Prendiamo degli impegni e dobbiamo mantenerli. La cooperazione internazionale non può essere dettata da scatti d’ira e affermazioni campate in aria”, ha commentato il francese Emmanuel Macron. Ma il problema è forse che Trump ha proprio preso con i suoi elettori l’impegno di disarticolare certe alleanze nell’ottica di un interesse unipolare, nazionalistico americano.

Macron s’è unito alla posizione della cancelliere tedesca Angela Merkel, che ha definito “deprimente” la decisione americana di non firmare il documento congiunto, e ha attaccato gli Stati Uniti perché così facendo hanno minato la credibilità del vertice (ma, ancora, se fosse proprio questo l’obiettivo di Trump? Distruggere certi sistemi di contatto multilaterali per far tornare tutto al bilateralismo degli stati-nazione?).

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